Hlemmur è il nome della stazione degli autobus di Reykjavik e, come tutte le stazioni, se di giorno è punto di partenza e di arrivo, di notte diventa casa per i senzatetto islandesi, le cui storie sono raccontate nell'omonimo film indipendente del regista Ólafur Sveinsson.
I Sigur Rós ne hanno firmato la colonna sonora, registrata verso la fine dell'anno scorso e poi venduta al pubblico durante l'ultimo tour.
Non siamo quindi di fronte al quarto album. Infatti questa collaborazione si discosta completamente dal sound classico dei Sigur Rós: Hlemmur è interamente strumentale, il falsetto di Jón Thor Birgisson non concede neanche un vocalizzo. Niente archi di violino su corde di chitarra, nessuna orchestrazione come in Ágætis Byrjun, nessuna impronta di batteria, diluita o accelerata, come nella seconda parentesi dell'ultimo "()".
Piuttosto riaffiorano i germi dell'elettronica d'ambiente insiti nel primo album Von, unitamente alle atmosfere sospese e dilatate già assaporate nella prima parentesi di "()". I sintetizzatori si sprecano cosí come i campionamenti e per certi versi sembra che i Sigur Rós strizzino l'occhio a Mùm e Boards of Canada; del resto Jonsi non fa segreto della sua passione per l'elettronica ed il progetto futuro con lo pseudonimo di "Frakkur" è già un mistero svelato.
Il risultato di questa passione è tutto in 19 tracce frammentate che tuttavia spesso si richiamano tra di loro e sembrano ricomporsi in un pezzo unico di 40 minuti. Il suono è liquido e rarefatto, immobile e onirico.
Ad ascolti ripetuti si arriva al bivio: o si sbadiglia alla morte o si apprezza quello che sembra un lavoro affascinante, forse incompiuto e limitato nella struttura ma probabilmente destinato a lasciare traccia nel DNA dei Sigur Rós.
Carico i commenti... con calma