Per alcuni versi gli ’80 sono stati anni innovativi. A dire il vero non tutti la pensano così. Se si vuol essere sinceri, quelli che la pensano diversamente sono la maggior parte.  Un grande errore di valutazione, non vi è dubbio: si rifletta un attimo.

Siamo d’accordo che prima lo spettacolo non abbia dato il meglio di se. Gli anni di piombo di marca settantiana avevano coperto con un sudario pesante il boom economico precedent, certo, tuttavia un attimo prima, le rivoluzioni dei ‘60 e ‘70 avevano comunque portato novità e speranza in quel secondo ‘900.

Eppure, era tutto uno sparo: presidenti sparati a Dallas, uomini sparati sulla luna, uomini sparati per strada, John Lennon sparato in America…

Poi, finalmente, arrivarono loro, luccicanti e ubriachi: gli ’80! Con quei trascorsi dietro la schiena rotta, pensò qualcuno e più di qualcuno, la storia da quel momento non poteva essere che in discesa: solo sorrisi, ricchi premi e cotillons! Niente più presidenti che si accasciano tra le braccia di mogli e first lady americane. Niente più spari. Ma sul serio gli storici pensano che sia andato tutto in questo modo?

Prendiamo come testimone la musica e, nella fattispecie, una band troppo avanti, tanto avanti che è rimasta indietro. Molti loro compagni di cordata sono ancora in auge perché il loro passo è lento e troppo ponderato. Probabilmente son li perché chi sta intorno li sostiene ad ogni vagito gridando al miracolo.

Loro no. I Simple Minds avevano buone armi e pallottole al pentagramma ben calibrate. Studiarono un buon piano d’attacco e vinsero. Le loro note trovarono asilo nel mondo dotato di orecchie per sentire e menti per capire, but not simple minds!

I Simple Minds, come già gli svedesi Europe di Tempest (quelli di “The Final Countdown”, giusto per essere precisi), devono qualcosa a Mister David Bowie. Simple Minds è infatti un connubio di parole preso in prestito da un verso del Duca Bianco (i secondi invece, parole dello stesso Joey Tempest, devono a Space Oddity di Bowie l’ispirazione per la canzone dalle squillanti trombe pronte a dare l’addio al ‘900 e passare, come ovviamente è stato, a una nuova epoca).

Ora, nel secondo decennio di questo millennio scontroso e arido di promesse, i Simple Minds, dopo alcune prove discografiche inaugurate nel post 1999 e che hanno contentato alcuni e scontentati altri, sono in giro con disinvoltura e altre cose da raccontare.

A luglio 2014 sono stati ospiti straordinari di Ferrara. Qui hanno tenuto, quindi nemmeno un mese fa, una esibizione fragorosa all’insegna della ‘pazzia’ (così ha dichiarato un Jim Kerr allegro, usando un italiano stentato).

La band scozzese ha aperto il proprio carico di racconti e note con un’energia mai doma. Il pubblico si è trovato di fronte a lottare con “Waterfront”. Gli Smartphone e  gli iPad si alzano al cielo, si vuole portare via gli istanti bloccati in quelle immagini estive di un evento eccezionale. Poi è la volta della recente “Broken Glass Park”, una delle incursioni dei Simple Minds nel repertorio meno lontano nel tempo. Quindi è la volta degli album storici “New Gold Dream” e “Once Upon a Time”, anticipati da una “Love Song” che riporta indietro di un bel po’ l’orologio di questi artisti. Non potevano mancare, in rapida successione, quattro “classici” immortali come “Mandela Day”, “Hunter and the Hunted”, “Promised You a Miracle” e “Glittering Prize”. Jim Kerr dialoga con il pubblico in estasi mistica. I suoi “evergreen” vengono affrontati, da un punto di vista vocale, con alterna fortuna ma sempre con grande prestigio.

A chiusura di questi appunti vale la pena segnalare come, in quegli anni da tutti ritenuti sbarazzini, i Simple Minds inizino a impegnarsi politicamente, alla stregua di  Edoardo Bennato o De Gregori, o, per arrivare ai nostri tempi, a Bologna il cantautore Mimmo Parisi. Kerr & company sostengono Amnesty International e producono concerti contro l’apartheid sudafricano. A segnare con più precisione il loro impegno sociale, ammesso che a qualcuno sia sfuggito, si ricorda la pubblicazione dell'album Street Fighting Years

All’interno della rosa delle composizioni di quel lavoro sentito, trova posto il brano , scritto ovviamente per un personaggio che i libri di storia avranno sempre come loro ospite decisivo: il leader anti-segregazionista Nelson Mandela

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