"Feel so good inside myself don't wanna move feel so good inside myself don't need to move" (Luv n' haight)
"Time They say is the answer/ I don't believe it" ( Time)

L'importanza di Sly and the Family Stone nella musica contemporanea è capitale e va certamente oltre il confine di quel genere - il funk - di cui sono stati i principali vessilliferi assieme a James Brown, costituendo un feticcio per intere generazioni di tarantolati funkster. Si pensi alle influenze esercitate sugli artisti più disparati: da Miles Davis (che nell'affresco urbano di "On the Corner" virò magnificamente verso il funk) ai Jane's Addiction (nel cui crossover la sincopata matrice ritmica era ispirata a Sly: chi ricorda la tellurica versione di "Don't call me Nigger, Whitey" suonata con Ice T al Lollapalooza 91?).
Inoltre, il gruppo formato dal carismatico Sylvester Stewart a metà anni Sessanta fu capace di esprimere lo spirito di un'epoca, coagulando speranze e in seguito angosce di una intera generazione, nello specifico le pletore di ragazzi neri colti nel culmine degli slanci libertari di Martin Luther King: la scintillante esibizione del gruppo a Woodstock è rimasta agli annali anche per quello.


Uscito nel 1971, "There's a riot going on" si merita la palma di capolavoro della Famiglia. In quell'anno la black music stava vivendo una fase a dir poco feconda, tra album fondamentali come "What's going on" di Marvin Gaye, "Where I'm coming from" di Stevie Wonder, il terzo "Live at Apollo" di James Brown, senza dimenticare il funambolico esordio dei Funkadelic e il carisma di Curtis Mayfield, mentre il Jimi Hendrix maturo si era riappropriato prima di morire delle sue radici black (rimodellandole). Decisivo fu poi il contesto storico e sociale: dall'eccitazione e dalle speranze integrazioniste di fine anni 60 si stava passando alla confusione che sarebbe sfociata nella disillusione, nel grande freddo degli anni 70, con il loro carico opprimente di droga e disperazione. Proprio gli abusi chimici stavano iniziando a minare l'armonia della famiglia e l'equilibrio del leader, stendendo un'ombra sinistra sul tutto.
Tutto ciò confluì in un lavoro epocale. Gli sviluppi della musica nera costituirono un incentivo per un colpo di reni, che si staccasse da quel solare connubio di soul, rock, R&B e psichedelia apprezzato per di più dal pubblico bianco. Di "There's a riot goin on" colpisce subito infatti l'esotismo, il creare una miscela sofisticata e scura in grado di leggere eccitazioni, tumulti e contraddizioni delle comunità nere ghettizzate nelle metropoli USA attraverso l'evocazione di spiriti ancestrali africani. Brani come "Africa talks sto you _ The Asphalt jungle" o "Thank you for talking to me Africa" sono emblematici in tal senso e costituiscono un feroce e disperato grido di orgoglio nero, un archetipo basilare per la black culture dei decenni successivi. La musica riflette in pieno questa svolta: sia negli episodi in cui risuona un groove spiritato e sornione ("Family affair", "You caught me smiling", "Luv n' haight", "Spaced cowboy" e "Just like a baby"), sia in quelli in cui è evidente una deriva ipnotica ed esoterica (la delirante "Time", "Poet", "Brave & Strong", la già citata "Thank you for talking to me Africa") la materia sonora maneggiata dal gruppo è ormai indefinibile: una giungla lussuriosa, un quadro del Doganiere Rousseau in movimento, in cui chitarre vivide, tastiere febbricitanti, bassi pulsanti, voci sciamaniche e fiati striscianti formano una perfetta sinfonia a incastro, accattivante ed intransigente allo stesso tempo.

La magia non sarebbe durata a lungo, e le dipartite di Gerry Errico e Larry Graham e la droga minarono il successivo "Fresh": il gelo degli anni 70 spense il calore di questi riti voodoo. Ma il più era stato fatto.
Greil Marcus scrisse su "There's a Riot goin' on": "It is Muzak with its finger on the trigger". Sottoscriviamo in pieno.

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