Non so, forse sono masochista ma c'è un certo senso di soddisfazione nel crogiolarsi nelle vibrazioni più cupe e tetre di alcuni album quando il mio stato d'animo è, appunto, sopraffatto da tali vibrazioni. C'è qualcosa di terapeutico in tutto ciò.

Di recente, meglio tardi che mai, ho scoperto Smog (Bill Callahan all'anagrafe, classe '66), istituzione del mondo Lo-fi, tramite questo disco.

"The Doctor Came At Dawn" è un manifesto di crudezza, angoscia e brutalità a livello emozionale e musicale, i cui brani raccolti sono come pagine di un diario contenente lettere d'addio, di un individuo oppresso da ogni suo singolo pensiero.
Sono brani dal sapore amaro e acido allo stesso tempo, così pungenti da infastidire l'apparato uditivo e farti arrivare quel sapore sgradevole fino alle papille gustative.
Ma l'intensità è così strategica che cresce brano dopo brano, così che l'ascoltatore possa abituarsi con gradualità. E mentre i minuti scorrono, l'umore cambia colore, diventando sempre più scuro fino ad arrivare stremato al nero del catrame e poi della pece.

Sono composizioni scarne e senza fronzoli, la cui strumentazione è ridotta a voce, chitarra e archi e pianoforte qua e là, che mettono a dura prova la salute psico-fisica di chi ascolta.
Ogni lamento straziante di quella voce tormentata, in cerca di melodie che però non esistono, è una freccia in pieno petto.
Ed ogni nota dissonante di quella chitarra acustica, a volte magari nemmeno propriamente accordata, è un brivido simile a quello stimolato da una forchetta sul vetro.
L'autenticità delle emozioni sprigionate da ogni brano causano piccoli tagli invisibili ma il sangue scorre così lento che nemmeno te ne rendi conto ed è una sensazione stranamente piacevole. ("Hangman Blues")

Trovo molto affascinante come si possa venire annientati con, apparentemente, così "poco".

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