Le Smoosh sono un mistero. Ignorate praticamente ovunque, nonostante quella che sembra un'operazione di marketing ad hoc (due ragazzine adolescenti, poi diventate tre, belle e bionde che si danno alla musica), non esitando nel loro cammino artistico. E no, non stiamo parlando di quella che potrebbe sembrare musica da quattro soldi, pop becero, basi danzerecce di bassa categoria, parliamo di indie rock puro e crudo, tendente sì al pop, ma grezzo, schietto, sbilenco, scarno. Un po' di clamore l'avevano suscitato, forse per curiosità, con un debutto strappabudella come "She Like Electric", 14 canzoni in mezz'ora, basso e tastiera, urla, sussurri, gemiti indie. C'era una canzone, "La Pump", in grado di unire Zecchino D'Oro e punk e c'erano melodie scarne e sfavillanti che raramente sorpassavano i due minuti. C'erano echi di Cat Power, Pj Harvey, Cibo Matto, ma soprattutto c'erano loro. Due sorelline (una classe '92, l'altra classe '94) che hanno combinato tutto da sole: melodie e testi, persino gli artwork dei dischi.

E così, dopo un disco passato inosservato e introvabile ("Free To Stay"), rieccole nel 2010 con un album regalato. è "Withershins", non distribuito, ma scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale del gruppo (www.smoosh.com), che dimostra quanto le Smoosh, nonostante una giovanissima età che può recare sospetti, siano delle artiste in tutto e per tutto. Atteggiamento completamente cambiato. Qui non c'è più nè la ruvidezza nè la rabbia dell'esordio, qua ci sono delle ragazze più mature e consapevoli, più pulite e curate nel suono, ma anche meno easy-listening.

Il punto di non ritorno che nessuno si aspettava, un inferno adolescenziale di ghiaccio. "Withershins" è un disco incantevole e freddissimo, che parte sorprendente già dal bellissimo incipit: "Finnerodja", incantesimo scandinavo, costruito su un tappeto di magiche tastiere e una batteria calma e spezzata, si schiude come un bocciolo su sospiri di fate lontane che graffiano. Più veloce e radiofonica "We Are Our Own Lies", pop d'autore intelligente che impenna su riff lontani e archi che accarezzano gli scoppiettanti giri di piano. "Promises" rispolvera , dapprima echi folk rock rubati all'ultima Cat Power, poi si lascia abbandonare, rapire tra improvvise esplosioni chitarristiche, che accompagnano il brano in un lungo intercedere, che trova nel lungo finale, dove gli strumenti si rincorrono con eleganza, il suo punto di forza. "The Line" ruggisce su battiti indie quasi paradisiaci, mentre "Dark Shine" velocizza il ritmo troppo pacato e nevoso delle precedenti tracce, e si lascia andare in una lava sonora fatta di ritmi e sospiri che mozzano il fiato. "Great Skies", invece, pone un giusto ponte tra le prime e queste Smoosh: low-fi maturo e godibilissimo, che accarezza dolcemente le orecchie lasciandosi scorrere, prima che arrivi "In The Fall", semplicissima nel suo intercedere pianistico, finisce con il cambiare improvvisamente rotta con un gradito duetto tra sax e batteria.

C'è anche un'inedita incursione elettronica ("Aaarplane") che sembra un mix tra i The Knife e i Coldcut di "Sound Mirrors": bella, ruvida, in apnea ed esplosiva nonostante il ritmo lento, pulsa e incanta, e c'è anche uno splendido rock da sirene perse nell'abisso ("Call Of The Mid Afternoon", la vetta dell'album) che gioca sulla ripetizione, su esplosivi tocchi di batteria che sembrano beats elettronici. Chiude con un incantesimo, con un geniale colpo di coda, la meravigliosa "Bridge No. 219242", sincopata a tratti, con una sorprendente chiusura quasi improvvisata, che sale, sale sempre più, fino a distruggersi. 

Meno sorprendente dell'esordio perchè più studiato ed elegnate, forse anche pretenzioso e fin troppo accademico, ma di sicuro impatto. Come sempre, un trio che va premiato e non solo per la giovanissima età. Imperfette sicuramente, ma ad avercene di gruppi così...

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