Lunedì mattina, ore 9. Entro dal mio venditore di fiducia e mi capita tra le mani questo disco. La copertina, uno sfondo in bianco e nero con appiccicata la faccia un po’ smarrita di questo ragazzotto di Bergen e un titolo intrigante mi ispirano non poco. Il tempo di pensare di ciò e già sto facendo la fila alla cassa.

Dodici tracce ruffiane che dopo un paio di ascolti entrano nella testa senza più uscirne. Un disco primaverile che con la sua immediatezza e delle costruzioni musicali essenziali mi fa apprezzare come non mai la bellezza di giornate di sole come questa. La melodia è alimentata costantemente da una chitarra di evidente matrice pop/folk che si allaccia in un modo sempre azzeccato con il piano, la batteria e alcuni fiati. Senza mai strafare o appesantire il ritmo però.

I temi trattati nei testi sembrerebbero per lo più legati agli amori e ai ricordi dell’autore. In alcuni pezzi c’è spazio anche per la malinconia e l’insicurezza. Come è giusto che sia d’altronde. Un lavoro questo, piuttosto organico e omogeneo, sintetizzabile anche in queste poche righe, di cui non posso non consigliare l’acquisto. Il ragazzo è giovane, ambizioso e si farà sicuramente.

Niente da dire, in Nord Europa siamo secondi a tutti. Inglesi, irlandesi, islandesi e adesso anche ai norvegesi. Conscio che il novanta percento delle gente riconosce la massima espressione musicale di questo paese in un festival il cui livello delle canzoni è spaventosamente ridicolo, rimango seriamente perplesso ma allo stesso tempo sorpreso.

Stupito dal come con pochi accordi e una voce semplice come tante, si riesca ancore a produrre musica di straordinaria qualità…

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