C'è modo e modo di sentire la musica.
Non parlo di ascoltarla, intendo proprio SENTIRLA...
Quella di Sonny Boy Williamson lo chiamano blues ed è musica che si sente.
Ohh se si sente!
Dannato e fottutissimo blues che ti entra in circolo subito come 3 bicchieri ben serviti di Brunello di Montalcino.
JOHN LEE " Sonny Boy" WILLIAMSON II (alias Alex Rice Miller), classe 1914 è stato un vero e proprio pioniere nell'uso dell'armonica a bocca intesa come strumento solista e non semplice abbellitivo nelle composizioni blues dei suoi brillanti colleghi (B.B.King, Muddy Waters, Buddy Guy, John Lee Hooker etc.). Prima di lui ci fu un altro "Sonny Boy Williamson" altrettanto importante che gli aprì la strada e che considerò un vero e proprio maestro tant'è che sin da subito cambiò il suo nome vero chiamandosi nello stesso modo, in segno di riconoscenza sincera a chi gli aveva aperto un mondo davanti a sé.

Quando incise questo "KEEP IT TO OURSELVES" per la storica etichetta Storyville, Sonny Boy era già ormai giunto al capolinea della sua brillante carriera, dopo aver suonato coi più grandi bluesman dell'epoca ed aver collaborato perfino coi leggendari Yardbirds e gli Animals.
Aveva qui la bellezza di 66 anni anche se, sembra dimostrarne 30 di meno tanto sono fluide, spontanee e groovie le sue sortite semi improvvisate nei meandri della musica del diavolo.

Un disco quindi sincero come non mai dove non c'è più la voglia di dimostrare niente a nessuno ma al consapevolezza di suonare, ancora una volta, SOLO per il piacere personale di farlo e per ripercorrere i momenti salienti di una carriera sofferta, difficoltosa ma in generale più che soddisfacente per un uomo partito praticamente da zero.

Musica fatta solo e quasi esclusivamente di voce, chitarra e armonica (chitarre di Matt Murphy e qualche intervento al piano di Memphis Slim), come da classica tradizione blues prima maniera, con un'unica presenza di batteria (suonata da Billie Stepney) nel pezzo "Moving Out". Canzoni unplugged (si direbbe ora!) incise nell'arco di una sola notte (!!) a Copenhagen nel 1963 che offrono il fascino dell'artigianalità dell'esecuzione spontanea colta negli attimi di maggior creatività anche pur con qualche leggera sbavatura tecnica, non fanno che aumentarne il fascino di un'interpretazione davvero partecipativa.
Un disco scarno, semplice e vero di un uomo che ci comunica e CI RIESCE con l'uso di pochissimi mezzi in mano: nessun artificio,  nessuna sovraincisione, praticamente buona la prima solo pochi rapidi scambi di battute (per altro udibili nei microfoni) e poi si parte. Della serie: Vada come vada, il buon dio ci assisterà. (gustatevi un raro filmato suo qui).

Signori: questo è Blues.

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