"The Bridge": il ponte. Un ponte vero e proprio, il Williamsburg Bridge, dove pare che Sonny Rollins fosse costretto ad esercitarsi per non disturbare i vicini. Ma anche il ponte inteso come simbolo del superamento di un periodo travagliato, all'insegna dell'incertezza, tale da tenerlo per ben due anni completamente inattivo. Che questo grandissimo interprete del sax tenore fosse assillato dai dubbi, soprattutto di natura artistica, lo si può comprendere sbirciando nella sua biografia, dalla quale emerge un gran numero di contatti e di influenze subìte (e perfettamente assimilate) fin da giovanissimo. Si va dal tradizionale maestro degli anni '40 Coleman Hawkins al rivoluzionario Ornette Coleman, e fu probabilmente l'incontro con quest'ultimo, promotore della libertà assoluta di improvvisazione e non solo (free-jazz), il più sconvolgente, quello che gli impose la lunga pausa di riflessione da cui sarebbe uscito trionfalmente proprio con "The Bridge" (1962).

A giudicare dall'ascolto pare che Sonny Rollins durante i suoi ripensamenti abbia acquisito idee piuttosto chiare per quanto riguarda la questione della libertà assoluta nel jazz. Nonostante i suoi fraseggi estremamente spregiudicati, a volte irriconoscibili rispetto al tema iniziale, l'equilibrio delle strutture tradizionali del jazz non è affatto stravolto. Siamo ben lontani dal "caos creativo" di certi dischi free-jazz, anche preché l'indubbia libertà di improvvisazione che Sonny si concede è perfettamente bilanciata dalla nitida chiarezza della voce carnosa e profonda del suo sax tenore. Un ulteriore fattore di equilibrio è dato dal profilo discreto tenuto dal resto della band, in cui spicca la versatile chitarra di Jim Hall, che in pratica si sobbarca le funzioni (ritmiche e non) normalmente delegate al pianoforte, qui assente, riuscendo a compierle più che egregiamente. Sobrio ma prezioso anche il contributo degli altri due componenti della sezione ritmica: Bob Cranshaw al basso e Ben Riley alla batteria, sostituito in un brano da Harry T. Saunders. Jim Hall sa trarre dalla sua chitarra note delicate ed effimere come bolle di sapone durante gli assolo del leader, ma al tempo stesso appena viene chiamato in causa si dimostra capace di inanellare scintillanti collane di note dal contorno netto e definito, al punto di poter essere tranquillamente considerato il secondo solista di questo capolavoro.

Si parte all'insegna di un'allegra cantabilità, con "Without A Song", un bel brano spedito ma non frenetico, in cui Rollins si dimostra capace di passare in pochi minuti dalla trasparenza assoluta dell'esposizione del tema ai ricchi ed elaborati (ma non caotici) grappoli di note degli assoli successivi, per tornare alla perfetta cantabilità iniziale nella splendida coda, suggestivamente rallentata. Enorme anche il contributo di Jim Hall, nella duplice veste di fedele accompagnatore e di abilissimo solista. "Where Are You" è la classica "ballad" da ascoltare al lume di candela. La voce del sax è una carezza sensuale e profonda, la chitarra sussurra note vagamente hawaiane, il basso è una vibrazione morbida e ovattata, la batteria è appena spazzolata. Un difetto? Sì, dura solo 5 minuti. "John S. " ci sveglia con una bella sferzata di energia, anche se all'inizio Sonny sembra volersi divertire con una serie di false partenze, ripetendo più volte lo stesso mozzicone di tema. Ma una volta preso il via diventa assolutamente dirompente, e Jim Hall, che lo segue in ogni acrobazia, non è certo da meno, finchè le strane sincopi iniziali non ritornano a chiudere il brano. "The Bridge" è al limite della frenesia, con i due solisti che sembrano passarsi il testimone in una gara di velocità e di bravura. Sulla base di un elementare nucleo iniziale Sonny Rollins costrusice svariati e complessi virtuosismi, sempre mantenendo una mirabile chiarezza. Per "God Bless The Child", standard del jazz noto anche nella versione di Billie Holiday, vale quanto detto per "Where Are You": si prega l'ascoltatore di munirsi di candela o, in mancanza, almeno di un accendino. Già la prima ballad sembrava miracolosa, ma si sa che nella musica, e specialmente a questi livelli, i miracoli concedono il bis. "You Do Something To Me" fa da ottimo "pendant" dell'iniziale "Without A Song" e non a caso chiude il disco con la stessa cantabilità e con una ritmica analoga, mossa ma non troppo. Sonny Rollins espone il motivo in perfetta solitudine, quasi come se si trovasse ancora su quel ponte dove si esercitava. Ma nel frattempo sotto quel ponte di acqua ne è passata parecchia, e questo saggio di abilità e al tempo stesso di equilibrio ne è la prova lampante.

Carico i commenti... con calma