Tribuna est dello Stadio Euganeo. Tra me e il palco ci sono una buona sessantina di metri; di spazi aperti e di scalinate e di aperture nel cemento, per di piú: ergo un'acustica rovinosa. Non ho sentito quello che volevo; ma lo racconto lo stesso.

Aprono il concerto i Feeder e si vede che ci sanno fare, ma il loro rock melodico veloce non è nulla di nuovo. A un certo punto sento un riff – uno solo – che mi colpisce, ma su quello subito dopo potrei già tornare a cantare i Green Day. Vabbeh.
Fonici sul palco e dopo una ventina di minuti, finalmente, si inizia.

Entrano gli Sparklehorse, o meglio entra Sparklehorse. Entra Mark Linkous (con lui alcuni musicisti che si sceglie di volta in volta) e ho la pelle d'oca nonostante il caldo insopportabile. Lui e la sua chitarra – dopo qualche problema di cavi e un pacato insulto all'operatore – mi regalano subito Saturday, una perla che racchiude tutto di loro.
La voce sottile (la mia preferita tra tutte), i giri semplici, lo stile scarno e organico al contempo, i suoni delicatamente sporchi, i testi assurdi da campagnolo americano folle e una malinconica dolcezza che mi fa sciogliere ("You are / A car / You are / A hospital / I’d walk to hell and back / To see you smile / On Saturday").

Non sento per niente bene, ma in fondo anche nei cd la qualità spesso è volutamente e sapientemente artigianale. Come in Happy Man: nei solchi dell'album (Good Morning Spider, il secondo dei tre) è sommersa da strati di rumori e disturbi, come se la stessi ascoltando alla radio e non riuscissi a trovare la frequenza giusta. Dal vivo, lo stesso: intuisci la bella melodia e vorresti capirci qualcosa ma non ci riesci, salvo quando nel ritornello la voce effettata ti spiega che "All I want is to be a happy man" e uno strano assolino schizofrenico sottolinea il concetto.

Gli Sparklehorse sono questo: suoni caldi sia nelle canzoni lente (bellissima Gold Day in cui il tappeto di tastiere dell'album viene sostituito da un arpeggio), sia nei rari pezzi aggressivi dove la chitarra diventa tagliente (vedi la fragorosa, incasinata, trascinante Tears on Fresh Fruit – che titolo! – con cui Mark ci lascia dopo ahimé solo nove canzoni).

Un cenno meritano infine i R.E.M., che chiudono il concerto. Si ripetono all'infinito ma fanno alcuni canzoni splendide e poi il timbro del cantante Michael Stipe è bellissimo, malinconico dentro.

P.S. Mi ha stupito che gli Sparklehorse abbiano attirato tutte quelle persone: hanno riempito lo stadio. Lo stesso Mark Linkous si è detto "freaked out" perché era la prima volta che suonava di fronte a tanta gente.

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