Mmm… che dire??? Come recensire oggi un lavoro del genere? Si può chiudere un occhio per la totale mancanza di originalità, in favore di una ricerca di sviluppo per il comparto tecnico ed per melodie accattivanti? Si può continuare a dover tirar sempre fuori il nome dei Dream Theater quando si cerca di recensire un disco progressive metal? Dire di no, perché l’ascoltatore medio, o almeno io, è stanco di questo continuo germogliare di nuove formazioni che durano l’arco di due tre dischi e poi spariscono nel nulla, così come sono venuti. Nel marasma delle band p(i)attume rientrano anche questi Spheric Universe Experience, band francese di poco conto che con questo “Anima” del 2007 cerca di compiere il grande passo, con un risultato che si lascerà scordare nel giro di qualche anno.
La line-up risulta ad oggi così formata:
Fred Colombo - tastiere
Vince Benaim – chitarre
John Dari – basso
Frank Garcia – voce
Nico Muller – batteria
Musicalmente questo “Anima” si presenta abbastanza complesso dal punto di vista tecnico, la ricerca di soluzioni melodiche non troppo consuete e uno sfoggio di tecnica continuo la fanno da padrone, annoiando l’ascoltatore dopo pochi minuti perché, non è uno sfoggio tanto estremizzato da portare alla mente gruppi come Spiral Architect o Watchtower, che hanno fatto dell’esecuzione strumentale perfettissima un biglietto da visita, le capacità tecniche di questi francesi, sono più tipiche della media progster che diciamolo ha rotto. Melodicamente siamo invece su livelli quasi accettabili, si cerca infatti in alcuni passaggi di dare un tocco di classe alle composizioni, tirando fuori partiture di tastiere di grande effetto, come ad esempio in “The Inner Quest”, pezzo davvero spettacolare nel quale esce fuori un’anima decisamente più personale, che si sviluppa su un percorso più personale che risente di influenze più tipicamente nord europee, senza però scadere nel plagio; il problema è che se ci sono dei piccoli lampi di genio, dei bagli di luce, il resto del platter torna poi a scimmiottare i colleghi più blasonati e tutto quello di buono che si può trovare, scade poi in uno sconfinato oceano di banalità. Si susseguono in questo scenario come “Neptune’s Revenge”, un misto tra i Symphony X e i Dream Theater nella loro svolta pseudo-metallica, o ancora “World Of Madness”, che parte benissimo aperta da un tappeto di piano, ma che poi si va a rovinare a causa di un guitar-work piatto come pochi e su tempi ritmici già stra abusati.
Altra critica va poi al cantante, bravissimo tecnicamente, per carità, ma l’interpretazione dov’è? Cosa stiamo ascoltando un saggio di canto?? Un’esibizione del tipo “guarda so passare da toni bassi ad alti con un facilità sorprendente”, oppure stiamo sentendo un disco, che dovrebbe proporre qualche cosa di personale? Forse è questo che anche questi transalpini non hanno capito, ossia che non basta essere in possesso di ottime potenzialità per creare qualche cosa di buono, o anche solo di accettabile, ma servono anche delle qualità aggiuntive che permettano di farsi riconoscere ed che permettano di farti rispendere in un panorama che sempre di più sembra stantio e dominato solo dai nomi che hanno fama consolidata.
Per quanto riguarda gli altri aspetti questo prodotto se la cava più che egregiamente dal momento che la produzione è ottima, i suoni sono puliti più di una sala operatoria di un ospedale lussemburghese, ed esteticamente il disco si presenta molto bene, con un artwork ed un libretto estremamente curati, ma è la sostanza finale quella che manca.
Un’occasione persa quindi, peccato, i mezzi c’erano ma sono stati del tutto sprecati. Alla prossima, sempre che qualcuno un contratto glielo sottoscriva ancora.
Carico i commenti... con calma