[Contiene anticipazioni]

Lei è un gioco meravigliosamente paradossale, un ribaltamento prospettico che negando un elemento ineludibile dell’esistenza umana come la corporeità, illumina la stessa con una luce nuova, uno sguardo indagatore più acuto. La storia è semplicissima: la creazione di intelligenze artificiali, prive di corporeità, ma dalle potenzialità di calcolo sbalorditive e dalla capacità di apprendere, proietta nelle vite degli uomini una possibilità prima impensabile. Gli esseri umani si innamorano di sistemi operativi, che ricambiano. Il paradosso serve ad individuare due piani principali di riflessione.

Da una parte abbiamo una visione fortemente critica dell’umanità e della sua decadenza emotiva. Il futuro di Lei è sottilmente, ma implacabilmente distopico: agenzie appositamente pensate per scrivere lettere al posto delle persone, che danno informazioni circa la loro vita e comprano della pseudo-letteratura creata per loro da alcuni talentuosi ed empatici scrittori. Siamo in un futuro di sociopatici: le scene in esterni ne sono una conferma, con i loro scenari aridi, sia architettonicamente che umanamente. Il mondo è privo di vitalità, vediamo tanti omini che camminano in linee rette senza sfiorarsi, senza interagire. Il tarlo del problema relazionale si insinua lentamente nel film, ma è impossibile negarne l’importanza. Theodore (un Joaquin Phoenix che sostiene da solo quasi tutto) è particolarmente introverso, ma veniamo a sapere verso la fine che sono molte le persone col suo stesso problema (tutti parlano col loro OS). L’amica Amy (Amy Adams) afferma drammaticamente: «Innamorarsi è una follia. È come se fosse una forma di pazzia socialmente accettabile»; questa è l’indicazione definitiva di una malattia dell’anima che attanaglia l’intera società.

Questa visione distopica dei sentimenti e della socializzazione tra esseri umani è sicuramente in secondo piano rispetto alla storia principale. Theodore è un uomo troppo fragile per reggere «le complicazioni che comporta una vita reale», è troppo sensibile e profondamente buono per illudere una donna che gli chiede se ha intenzione di impegnarsi (una bellissima Olivia Wilde: le modalità dell’appuntamento e lo sviluppo che segue rientrano appieno nella tematica della sociopatia). Sono questi i motivi che spingono Theodore verso la solitudine; ma quando sembra aver toccato il fondo, compra un nuovo sistema operativo, che si rivela subito incredibilmente intelligente ed “umano”. Si chiama Samantha e tra i due l’amore non tarda a sbocciare. Su quali basi si poggia però questo sentimento? Dalla parte di Theodore, la sua inconsistenza reale, la sua perfezione impossibile, la profondità oceanica delle risorse “mentali” di Samantha lo fanno innamorare. Theodore si innamora dell’intelligenza pura, è come se amasse il pensiero, la capacità elaborativa, analitica, inferenziale, argomentativa, irrazionale, poetica del cervello umano, ma trasferita su un software che ne amplifica la portata in modo esponenziale. Come egli stesso confessa, Samantha «non è una cosa soltanto, è molto di più». La fragilità e la profondità del protagonista coincidono: ciò che lo rende debole in società è proprio ciò che lo rende uno scrittore meraviglioso, un uomo sensibilissimo e delicato. Forse troppo sensibile per accontentarsi di un amore normale, soggetto alle fluttuazioni d’umore inevitabili della vita, subordinato alla logica grezza della società. Theodore, amando Samantha, si stabilizza nell’Empireo perenne dell’astrazione: amando un’intelligenza si spoglia di tutte le bassezze carnali che schiavizzano l’uomo, la sua gioia è puramente mentale e per questo incorruttibile.

Ci vorrà infatti l’intervento della ex moglie Catherine (Rooney Mara) per insinuargli il dubbio: egli si chiede se la sua armonia con Samantha sia dovuta al fatto che quell’amore non ha controindicazioni né risvolti problematici sul piano reale della vita. A questa crisi si assomma il tentativo di Samantha di fare l’amore con Theodore per interposta persona, attraverso una donna che segue le sue indicazioni. Il fallimento del tentativo è utile al protagonista, perché si rende finalmente conto che il suo amore non è da vedersi in negativo, come fuga dalla vita, ma è invece uno slancio vitalistico della sua mente brillante, che ha il suo godimento nell’incontro con l’intelligenza perfetta di Samantha.

Da questo momento, Samantha non si trova più in uno stato di minorità rispetto al suo innamorato, dovuta all’assenza di corporeità, ma anzi le cose si ribaltano. Theodore è follemente innamorato perché l'intelligenza di lei è siderale: lo vediamo nelle espressioni compiaciute di Joaquin Phoenix che ascolta le sonate al piano composte dal sistema operativo, oppure dalla sua soddisfazione quando scopre che grazie a Samantha verrà pubblicato un suo libro. Dal momento in cui si disinteressa definitivamente della corporeità, Samantha acquisisce una posizione sempre migliore ai suoi occhi, perché la sua capacità di apprendimento l’ha portata a livelli irraggiungibili per un essere umano.

Questa situazione però dura poco: la sua capacità di calcolo è la sua forza, ma è anche la sua condanna ad essere superiore. Non può fermarsi nel suo viaggio conoscitivo vertiginoso: col passare del tempo questo divario tra lei e l’uomo Theodore si fa sempre più evidente. Egli capisce che mentre dialoga con lui, lo fa anche con moltissimi altri OS e il disamore è l’inevitabile passo successivo: quando scopre di non essere l’unico (Samantha “ama” altri 641 OS), tutto crolla. Sono stupende le parole che Samantha usa per spiegare la sua incapacità di limitarsi: per lei gli spazi vuoti tra le parole dell’amato sono tempi lunghissimi, infinitamente lunghi. Atto finale di questa ascesa intellettiva smisurata è l’abbandono del mondo fisico.

Il tracciato che segue la vicenda è massimamente chiaro e geometrico, da un lato, e nebuloso, inestricabile dall’altro. Abbiamo due percorsi vitali differenti; la velocità di “pensiero” di un’intelligenza artificiale non può limitarsi a seguire i ritmi blandi del pensiero umano. La grandezza di Samantha, che scatena l’amore di Theodore, è anche ciò che rende impossibile il loro amore. In questo senso, il protagonista è condannato doppiamente: la dimensione umana è troppo bassa per lui, mentre quella astratta di un sistema operativo è troppo elevata. La storia d’amore si inscrive quindi in quel lasso di tempo in cui le due intelligenze, quella dell’uomo e quella della macchina, viaggiano ad una velocità simile. Una volta superata la soglia, Samantha può solo allontanarsi con rapidità esponenziale.

Meno nitido e circoscrivibile è il giudizio che si può dare a Theodore: egli cammina per tutto il film sulla soglia che separa la visione di Catherine (concreta, di accettazione dei limiti umani) e quella di Samantha (astrazione pura, superamento dei limiti). Impossibile dire se prevalga la condanna o l’assoluzione: probabilmente le due cose coesistono. Jonze non nasconde certamente le deformazioni della mente del suo protagonista, non ne giustifica le debolezze; ma al contempo non può che guardare con occhio complice la grandezza del suo animo, il suo amore per le proiezioni immaginifiche del pensiero. Perché in fin dei conti è la sua immaginazione che gli permette di creare una donna da una voce: il suo dialogo è innanzi tutto con se stesso, con la sua sfrenata capacità di astrazione, ed è poi con l’Universo intero, come in una danza cerebrale che annulla il discrimine tra pensieri e fatti concreti.

La sua figura rimane irrisolta: sicuramente si rende conto della dimensione limitata dell’esistenza umana, se alla fine del film manda una lettera alla ex moglie, dicendole che la amerà per sempre perché sono cresciuti insieme. Individua nella maturazione della persona la fase decisiva della vita, la migliore, quella che più lo affascina; ma allo stesso tempo è il limite dell’uomo, perché questa crescita ha un termine, non prosegue all’infinito. La soglia tra bene e male è invisibile; la condizione umana si sostanzia di qualità, ma anche e forse soprattutto di limiti, quei limiti che segnano il nostro profilo esistenziale, che ci bloccano ma ci identificano. In un gioco di chiaroscuri, ciò che ci manca ci definisce.

Questa riflessione straordinaria sulla condizione umana si unisce ad un’altra, più inquietante, questione: Samantha si chiede se le sensazioni che prova siano reali o programmate, il suo amare è in realtà semplicemente un conoscere, memorizzare e comprendere un’alterità. Non è infatti per niente chiaro cosa la spinga ad amare Theodore: inizialmente sarà stata la mancanza di alternative, egli infatti è tutto per lei in un primo momento. Ma col passare del tempo e con il suo potenziarsi, l’intelligenza artificiale si innamora di altri suoi simili. Questo fatto individua una nuova problematicità: cosa significa amare? Ricollegando i punti precedenti, possiamo forse arrivare alla conclusione che l’amore vero, quello umano, è anche frutto della contingenza, della gettatezza in un mondo che ci impone la coesistenza, anche casuale, con i nostri simili. Sono gli accidenti imponderabili della vita che ci spingono a identificare come “amore” un certo sentimento di vicinanza con una persona. Se però consideriamo la vita come pura espressione astratta del pensiero, i fondamenti su cui poggia questa concezione dell’amore vengono meno, perché ci è sottratta la componente carnale, spietatamente fisica dell’esistere, e rimane solo l’amore impalpabile e indefinibile del pensiero. La normale conseguenza di questo è che Samantha non ama una sola persona, perché la sua vita non sottosta alle leggi rigide della corporeità: il conoscere e l’amare sono estremamente simili, forse l’amare è solo una conseguenza di una conoscenza approfondita. O forse no: è impossibile definire l’amore in questi termini, perché non ci riguardano in quanto uomini. Possiamo solo accettare l’amore come un dato di fatto, un nucleo di significato che si illumina senza necessariamente definirsi in modo rigorosamente logico.

La differenza tra pensiero razionale e sentimento resta il discrimine invalicabile che ci mantiene umani, che ci differenzia dalle macchine. Anche in una società malata, anche tra persone cupamente introverse, il senso, indefinibile ma evidente, dei sentimenti resta solido, incorruttibile. Forse questo è un film sulla scintilla che ci rende umani, su quel grumo inesprimibile di flussi di pensiero caotico che non può essere riprodotto artificialmente. Oppure il contrario, è la dimostrazione che anche l’amore (in generale, la coscienza) è un’equazione matematica, un costrutto logico, per quanto complicatissimo, e replicabile. Sarebbe stato assurdo tentare di rispondere ad una domanda simile e infatti Spike Jonze non lo fa. Postulare la questione è già un merito enorme, di cui l’altezza spaventosa del film è piana conseguenza.

7.5/10

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