Ho visto gabbie che volavano, c'erano dentro aquile.
Acclamato da grandi nomi - vedasi lo stesso Umberto Eco - Stanislaw J. Lec è stato calpestato dal pubblico fino al punto di essere dimenticato. Osservatore fuori dal tempo, egli appartiene al passato. Intanto, asfissiando, nasce una nuova umanità: colorata, tremendamente grigia.
Spesso nasce un rito sfogliando questi Pensieri spettinati, entrando nei suoi (r)umori, muovendo gli occhi lungo gli spazi vuoti che separano un aforisma dall'altro. Quella porzione bianca è un lampo: vi è contenuto il tempo necessario per essere colpiti dalle frasi di Lec, divenirne consapevoli e scoprirsi ancora più piccoli. Giungendo da oltre la cortina di ferro, la vittima sacrificale di questo autore è chiarissima: non la burocrazia, non il socialismo reale nè il capitalismo, quanto piuttosto l'umanità. Umanità dai molteplici petali disgraziati, che siano parte della massa oppure di una stretta cerchia di governanti. Tutti costoro, seguendo i muri d'acciaio dell'esistenza, cadranno nello stesso baratro senza uscita. L'uomo è come un topo, per Lec: può dibattersi, parlare o spiccare il volo: la sua casa - amata, seppur con inconscio disprezzo - sarà sempre sotto terra, nel liquame. La benda è pronta sul tavolo - di quale tavolo sto parlando? - quello verso cui passerà ogni uomo, incrociando i propri amori futuri e quelli che ha cancellato.
Se abbattete i monumenti, risparmiate i piedistalli. Potranno sempre servire.
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