Fin'ora cari amici, il mio entusiasmo nel segnalarvi gli straordinari beni lasciati in eredità dalla cultura musicale del secolo trascorso non ha ravvisato flessioni. Com'è possibile che ciò possa accadere di fronte a cotanto splendore trascurato? Questo entusiasmo, spero l'abbiate sempre percepito. Del resto, non potrei mai parlare con distacco dei miei "antichi amori", mentre mi astengo totalmente dal resoconto e lascio agli asettici esperti il compito di informare sui lavori scadenti, solo perchè fanno parte della carriera di gruppi importanti. Inoltre votare sotto le tre stelle, per me vuol dire uscire dalla storia ed entrare nel terreno della mera cronaca, parlare di fatti pressochè trascurabili.

Detto questo, andiamo a contemplare il cielo per individuare una costellazione a cinque nitidi astri, chiamata Steeleye Span, a quanto pare anche qui i telescopi un pochino miopi (tanto per usare un eufemismo) dei debaseriani scienziati, non sono mai riusciti a trafiggere le nebbie dell'emisfero novecentesco, per mettere a fuoco la splendida luce emanata da un gruppo così straordinario. O sono gli effetti abbaglianti delle "luci della città", che hanno impedito da sempre di scorgere un simile tesoro consegnato alla storia come irrinunciabile? Ragazzi, qui si tratta di mitologia pura, senza se e senza ma, quindi l'onore per me si rinnova nel presentarvi un capolavoro come "Hark! The Village Wait" del 1970, debutto di uno dei più importanti gruppi folk inglesi di sempre.

Gli Steeleye Span, formati originariamente dall'ex bassista dei Fairport Convention, Ashley Hutchings, annovera tra le file della sua prima formazione un certo Andy Irvine, che presto uscirà per formare i Planxty. Nella line-up di "Hark!..." troviamo Tim Hart (voce e chitarra, dulcimer, harmonium), i coniugi Terry e Guy Woods (voce, mandola, banjo, concertina / voce, concertina) e per ultima non per meriti, la fantastica Maddy Prior, la splendida e morbida voce del folk d'Albione. Il gruppo subirà ripetute trasformazioni, dovute a vari contrasti interni, ma ciò non impedirà di forgiare i capolavori che si stamperanno indelebilmente nella memoria storica della musica folk inglese. "Hark!..." rappresenta il punto iniziale di una dedizione a un unico progetto: la tradizione popolare britannica, che risente l'influsso del cristianesimo celtico pre-medioevale. Dai primi quattro lavori fino al 1972, realizzati in chiave prevalentemente acustica al progressivo inserimento degli strumenti elettrici, porteranno il gruppo lontano dal folk, verso arrangiamenti più strettamente rock, fino a un conseguente declino stilistico.

Diciamo subito che l'"easy listening" non induce a considerare il disco cosa di poco conto, anzi siamo di fronte a uno di quei miracoli "mainstream" dallo stile ieratico e vertical-popolare, che portano l'ascoltatore a percorrere luoghi dove l'anima trova linfa vitale, incontro con la natura e sbalzo temporale. Si va dai tre canti corali strettamente a cappella di "A Calling-On Song", "My Johnny Was A Shoemaker", "Twa Corbies" dall'impronta gotica a sesto acuto, alle sette ballate medievaleggianti (individuabili nella scala armonica) ornate dal canto delizioso di Maddy Prior, fino alle due sole ballate maschili; la "Blackleg Miner", inizio in coppia solitaria di prima e quinta della scala maggiore che porta al canto popolaresco di Tim Hart, accompagnato al banjo e l'inno naturalistico di "The Hills Of Greenmore", cantato da Terry Woods, assecondato con tono solenne dal rif in concertina. Ma qui vogliamo tornare alla metafora spaziale che distinguono le due celestiali "The Blacksmith" e "All Things Are Quite Silent" che ci cullano in un "mare della tranquillità" dai riscontri antichi, la cui ritmica popolaresca, viene accostata a cori angelicati, mentre il canto armonioso di Maddy Prior, trova qui la sua più alta emanazione materna. Infine aggiungiamo che "tutte le cose sono abbastanza silenziose", quando parlano di se stesse, come i lontani spazi siderali raggiungibili solo col veicolo della nostra anima, un giorno quello sarà il luogo adatto per sostare in un immeritato riposo, dove forse, tutti balleremo prendendoci per mano, una mite pastorale. La nostra anima è lì che si dirigerà, "ascolta! Il villaggio attende", ah sublime vertigine!

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