Negli occhi la paura, ma il riflesso del casco antisommossa la cela come un velo di disumanità. Nelle mani un manganello, nel cuore tante ferite, ma non di coltello. Ferite inferte da mogli, figli, madri. Ferite che ti fanno zoppicare a vita, come e più di quelle nelle gambe.
Negli occhi la rabbia, ma non tanto per quegli ultras che specularmente si sfogano la domenica. La rabbia di uomini in guerra ma dilaniati da tutt'altro. Dilaniati dagli affanni normali, incruenti, le frustrazioni di chiunque, per un figlio disobbediente, per una moglie che vuole il divorzio, per una madre costretta nei bassifondi della città.
Negli occhi l'impotenza, perché quei celerini la mano pesante ce l'hanno, ma non tutte le difficoltà dell'esistenza si risolvono con un cazzotto, una manganellata. Eppure spesso questa idea li sfiora. Ci cascano, per pochi istanti. Ma sono istanti fatali, perché un errore, un gesto di violenza in un contesto civile significa altro dolore, processi, condanne, soldi. Non è la guerra dello stadio quella, dove la legge è quella della giungla. La vita civile non perdona, ma tu sei un soldato in trincea. Perdi il senso della misura.
Eppure qualcuno lì con lo scudo ci deve stare. Ma quei bagni di violenza domenicale quanto si riverberano poi sull'uomo dietro lo scudo? E l'uomo, diventato “bastardo”, quanto si riverbera nel tempo sull'agire del soldato? E quanto sull'agire privato dell'uomo stesso?
Ho recuperato questo film del 2012 e sono un discreto estimatore di Sollima, pur dopo il mancato entusiasmo per il suo approdo hollywoodiano con Soldado. Questo Acab, anche oggi, dopo otto anni, mi sembra una delle cose davvero più scomode e interessanti uscite dal cinema italiano negli ultimi lustri. Altro che romanzi criminali, qui si scrive in una prosa brutale e affilata, un latrato continuo di uomini diventati un po' bestie. Uno spaccato vertiginoso senza buoni né cattivi. Anzi, al contempo tutti buoni e tutti cattivi, in modi diversi, per ragioni diverse.
Una visione problematica, dove ogni gesto possibile apre un bivio, ma mai come in questi casi la distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato, è sottile e quasi insondabile. È questo che sconvolge, la difficoltà di capire che cosa fare, e le giustificazioni morali che seguono ogni gesto, ogni maledetta manganellata.
Forse alcuni non hanno amato il film perché si aspettavano un tifo pro o contro. E in effetti certe scene enfatiche con musiche rock e i celerini in azione (ma anche lo stesso titolo così da tifoseria, per quanto ovviamente ironico) non fanno bene a un copione ricchissimo invece di spunti complementari e contraddittori, un ritratto sociale feroce e veramente complicato.
Perché Cobra, Mazinga, Negro e gli altri un po' bastardi lo sono. Ma non è così semplice, è un po' più complicato.
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