[Contiene anticipazioni]

Sollima non delude, ma non riesce nemmeno a sfoderare un capolavoro pieno. Certo, avercene di film italiani così ben fatti. Suburra gode di una sceneggiatura scritta benissimo insieme agli autori del libro, attori impeccabili e scelti con saggezza, una regia vivace e tanti altri pregi. Ma non tutto è stato limato alla perfezione.

La struttura diegetica è una delle note più positive: un meccanismo a orologeria che funziona con nitida precisione, mette in fila cause ed effetti con grande gusto per le connessioni logiche. Una simile sceneggiatura, nella sua pulizia, va a mettere in evidenza i temi macroscopici dello scenario in questione, perché lo spettatore non fatica a seguire la storia, che anzi spesso è facilmente anticipabile. Sollima non cerca mai di sbalordire con colpi di scena strabilianti, conquista con la sua solida coerenza, che comunque sa snocciolare momenti emotivamente intensi.

Il cast è magnifico, per due motivi, anzi tre. Ci sono attori non molto noti che incarnano benissimo i personaggi assegnati loro, come il bravissimo Alessandro Borghi nei panni di Numero 8: confrontate questo personaggio con quello che interpreta in Non essere cattivo e ne capire la bravura. Ci sono poi attori più affermati che non deludono: Elio Germano e Favino sono semplicemente impeccabili, profondamente immedesimanti nelle loro parti. E poi gli attori rischiosi, come Amendola nei panni di Samurai: una scommessa vinta per la capacità di Claudio di impersonare un boss che fa anche da garante nei vari rapporti politici. Sollima sceglie con cura i volti ed oppone a Samurai lo zingaro Manfredi Anacleti. Il faccione di Adamo Dionisi rappresenta bene il malavitoso senza valori, spinto da una brama che non conosce mai tregua. Samurai è pacato, compie crimini solo se strettamente necessario; Manfredi è un cane rabbioso, come quello che alla fine lo sbranerà. Due scommesse vinte alla grande da Sollima.

Ci colleghiamo quindi al sistema dei personaggi, al di là delle interpretazioni attoriali: è profondo e completo. Viene raffigurata senza sbrodolamenti tutta una galleria di personaggi, più o meno malvagi. Non ci si sofferma troppo sulla politica, ma nemmeno troppo sulla violenza dei gangster. Le due metà del sistema romano coesistono in perfetto equilibrio, coi loro innumerevoli lacci che li tengono, e di riflesso i vari personaggi principali compaiono con la stessa importanza nelle sequenze. Non emerge mai veramente un protagonista solo, così come non si scade mai nelle raffigurazioni troppo stilizzate: anche il giovane Spadino è convincente pur apparendo per pochi minuti. Attori e copione concorrono con pari importanza all’esito finale.

La regia è vivace, notevolmente estetizzante per un film italiano. Le sequenze con maggiore sottolineatura presentano musiche a volume molto alto: la scelta in sé ci può stare, per stilizzare i momenti e dare loro un valore paradigmatico, ma la scelta dei generi musicali è rivedibile. Avrei preferito musiche più dure e claustrofobiche. Ma la vera carenza dal punto di vista registico è la scarsa capacità di creare sequenze visivamente memorabili nella sfera della violenza: le sparatorie sono poche, e questo è un bene, ma manca un pizzico di forza nel modo in cui vengono raffigurate. Basta confrontarle con quelle di Gomorra – La serie per rendersi conto che Sollima ha trascurato un poco questo aspetto del film. Buona la sequenza nel centro benessere, anche se troppo debitrice del Gomorra di Garrone, ma ad esempio la sparatoria al supermercato è proprio poco incisiva.

Per tutto il film la dimensione realistica e quella romanzesca coesistono con mirabile equilibrio: non siamo dalle parti di Anime nere, ma nemmeno si sfiorano i film di gangster più estetizzati. Quella di Sollima è una via intermedia, che conserva un forte legame col dato reale (pensiamo al dialetto, alle ambientazioni grigie), ma lo sa incanalare in un ordito che alletta anche lo spettatore che cerca intrattenimento e schemi narrativi classici. Quando Elio Germano viene preso a pugni e lasciato sanguinante per strada, pare che il finale di Suburra si mantenga coerente con la cifra di Sollima, ma negli ultimi minuti arrivano un paio di concessioni troppo evidenti, due contentini messi lì per non deludere il pubblico meno colto. Il debole e codardo Elio Germano che prende a bastonate il boss zingaro e lo mette nella gabbia del cane e, un pelo meno forzata, la ragazza di Numero 8 che si presenta fuori dalla casa di Samurai e lo elimina. La prima non è credibile, la seconda sì, ma significa chiudere con un messaggio di rivalsa dei pesci piccoli che riescono a rifarsi contro i leviatani come Samurai. Non propriamente una visione disincantata.

Infine un paio di dettagli: ho sentito come superflui la scansione dei giorni che vanno dal 5 al 12 novembre 2011 e il filone dedicato alle vicende vaticane. Anche la descrizione come «Apocalisse» del giorno della resa dei conti è eccessiva.

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