Con il cinema di genere peplum che stava per raggiungere il suo apogeo, soprattutto in Italia, a cavallo tra gli ani '50 e gli anni '60 era inevitabile che l'idea di produrre parodie allettasse produttori e registi. Vuoi perché la comicità d'autore pagava sempre (a differenza del filone serioso che spesso risultava noioso o involontariamente ridicolo), vuoi perché disponendo già di tutti i mezzi necessari (studi di posa, comparse, costumi, animali, ecc.) i costi di realizzazione erano un rischio comunque accettabile.

Il grande Steno nel 1956 girò quello che rimane il più noto titolo parodistico legato al genere. Sfruttando l'astro nascente Alberto Sordi e mettendo al suo servizio un cast stellare internazionale, nonché una nutrita serie di popolari caratteristi, portò la storia di Nerone sul grande schermo evitando le pastoie della narrazione biografica tout-court e ritagliando sulla Storia ben conosciuta dell'imperatore melomane e piromane un plot di caratterizzazioni farsesche e svariati sketch.

Gloria Swanson interpretava Agrippina, madre di Nerone. La quasi esordiente Brigitte Bardot la leggendaria Poppea. Sordi con capello riccioluto e fulvo gigioneggiava senza freni in mezzo a queste due primedonne. Trovandosi a suo agio in un habitat cinematografico che probabilmente non gli era congeniale. Anche perché la Swanson che solo qualche anno prima con Viale del tramonto aveva vinto il Golden Globe e aveva sfiorato l'Oscar non mostrò alcuna attitudine - sul set - nel reggere quella parte. E dichiarò più tardi che aveva accettato quella pessima esperienza solo per poter recitare assieme a Vittorio De Sica.

Il quale De Sica, interpretando il filosofo Seneca, rappresentò la vera colonna portante del cast, con una recitazione sopra le righe perfetta per il film, al centro delle sequenze più comiche e riuscite. Come quella della lettera scritta a Lucillio in cui dichiarava maldestramente che Nerone canta come un cane (da antologia).

Il burrascoso rapporto tra gli attori, specialmente tra la Swanson e la Bardot, non impedì a Steno di portare a casa un buon risultato, soprattutto per quanto riguarda l'accuratezza della messa in scena e una scrittura anche troppo raffinata per la satira di un filone che di raffinato spesso aveva poco. La Swanson ovviamente rinnegò il film, dicendo che era una delle cose peggiori che avesse mai girato. Sordi non da meno considerò a lungo Mio figlio Nerone uno dei suoi film meno belli; e si dice che alla prima al Festival di Venezia si alzò a metà proiezione e se ne andò.

Col senno di poi, se parliamo di peplum, val la pena rivedere questa pellicola piuttosto che molte altre prodotte negli stessi anni. Che seppure talora venate di umorismo involontario e magari interessanti da un punto di vista cinefilo, non hanno né la verve né la caratura dell'opera di Steno.

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