Abbiamo visto un pallido ragazzo, vestito come Marc Almond, vagare tra i mercati di Parigi ed il parco Buttes Chamont, il suo passato irreversibilmente smarrito ed il suo presente sospeso, come nel cinema vero ed autentico, tra la realtà ed il suo doppio, tra il Reale e Fantasmagoria.

La sera della Prima a “Le Champo”, eclissati in un angolo buio della sala, si dice che in quell’attimo sincopato tra un applauso e l’altro potessimo scorgere i sospiri di Jean Vigo, mentore, ispiratore e Premio di questo primo film di Stefan Batut – Vif Argent – che dallo stile fluido, acerbo ed indipendente di Vigo ha tratto fonte ed ispirazione .

Nella fantasmatica storia di Juste la sua memoria azzerata rivive attraverso i ricordi e le testimonianze delle anime che traghetta, da novello Caronte parigino con blazer in lamè. Registicamente ed inconsapevolmente perfetto Batut nella descrizione dei tragitti, che condurranno al Giudizio, paesaggi onirici realmente vissuti da anime che talvolta scelgono anche di ritardare il loro percorso e mirare la bellezza dei vivi e non solo ma sfiorare anche i loro capelli ed il loro corpo…

Ottima la fotografia di tale Celine Bozon che ricama di sogno ed arpeggia nella vita quotidiana di Parigi, perfetto l’incastro tra immagine ed il relativo cromatismo che flirta sempre con una dimensione straniata ed onirica.

E se tutto potrebbe sembrare anche ancestralmente ordinario ed anche Juste potrebbe dare l’impressione ogni mattina di timbrare compassato il suo cartellino prima di imbarcarsi per lo Stige, la mirabilia della vita ( terrena ) ed i suoi ricordi che affiorano inesorabilmente strapazzeranno ancora il cuore pulsante del jeune fantome, alla visione di Agathe …

Ed in un finale pirotecnico, dove l’essenza del sogno perde irreversibilmente tutti i suoi granelli di substrato materico, Batut ci fa riprendere il fiato e sospende silenziosamente la transizione costante, tra carne e spirito che aleggia in tutto il film.

Illuminando in quella notte fragrante di eternità, con il chiaror dele lucciole, il disperato e lirico abbraccio tra Juste ed Agathe, tra la pietra ed i mattoni del Ponte dei Suicidi, l’ultimo sublime incanto di una realtà capovolta, dove i vivi scompaiono tra le ombre della notte, dopo quel tuffo nell’acqua, liberatorio di Juste .

E Jean, da quell’angolo scuro della sala, sobbalza e sorride d’incanto.

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