Stephane Grappelli - Salle Pleyel Mar. 29th, 1983, Olympia Jan. 24th, 1988: ovvero ottant'anni e non sentirli; il secondo CD di questo doppio che vi presento, contiene infatti un concerto tenuto dal grande violinista francese due giorni prima del suo ottantesimo compleanno. Il primo CD ne contiene invece uno tenuto dal medesimo violinista cinque anni prima, all'età quindi di 75 anni, nell'anno cioè in cui festeggiava i sessant'anni di carriera... Inutile dirvi che in quelle due occasioni Stephane Grappelli suonò con l'entusiasmo e la forza di un quindicenne e più precisamente di quel quindicenne che nel 1923, dopo essersi costruito attorno una piccola fama di virtuoso buskerando per le vie di Parigi, ottenne il primo contratto di lavoro presso il Palais Rochechouart. Che faceva? Colonne sonore per film muti... Da fanatico di Buster Keaton e da innamorato di Grappelli, mi verrebbe da dire che vedersi un, faccio per dire, "The General" o un "Sherlock Jr." in quel cinema e a quel tempo, doveva essere uno "spettacolo nello spettacolo"...
A dire il vero, Grappelli imparò più tardi a suonare come si deve... Le sue colonne sonore, per sua stessa ammissione, erano motivi semplici e qualche Valzer... Niente di che in fondo... Faceva invece già sul serio quando conobbe Django Reinhardt e prese parte al Quintet du hot club de France, ovvero la più valida alternativa europea ai jazzisti statunitensi degli anni trenta e quaranta... La stella del chitarrista gitano era però troppo luminosa, avrebbe lasciato chiunque nell'ombra, e il Grappelli venne considerato sempre e solo una "spalla". Ciò non gli impedì di firmare alcuni classici del quintetto e di dare il proprio contributo di eleganza e signorilità alla musica da esso prodotta. Per inciso, cosa sarebbe un brano come "Daphne" senza quel vezzoso violino che ne punteggia il tema? Oddio... Via... sarebbe bello lo stesso, ma meno...
La sua rivincita (se si può parlare di rivincita... e a pensarci bene, non si può...) Grappelli se la prese negli anni sessanta-settanta, collaborando con jazzisti d'eccezione (Duke Ellington, Oscar Peterson, Joe Venuti e molti altri...) e tenendo una miriade di concerti... E allora, quale modo migliore di fare la sua conoscenza di un doppio che di concerti ne contiene non uno ma ben due?
"Them there eyes" è la prima traccia della lista. Un brano all'inizio lento e corroborante come un dolce risveglio. Poi, visto che la giornata è fatta di 24 ore e che non possiamo passarle tutte e ventiquattro in un pur piacevole stato di dormiveglia, il ritmo si fa frenetico come frenetica è la vita... Allora il violino di Grappelli va veloce, giovane, sbarbato ed elegantemente vestito fra ingorghi armonici, trovando sempre e comunque una simpatica via di fuga... In "Tiger Rag" i violini diventano due: Sven Asmussen, si unisce alla banda e trasforma l'inizio del brano in questione in un concerto grosso scritto da un ipotetico compositore barocco e molto lungimirante... Se c'è una cosa che mi piace delle improvvisazioni grappelliane è proprio l'uso di stilemi classici... E' il caso del primo tributo a Django, "Minor Swing", nel quale Grappelli infila il tema del primo movimento (Allegro) della sinfonia n° 40 di W.A. Mozart. E ditemi voi, cosa c'è di più Allegro dello Swing?
"Honeysuckle Rose" è un po' come "Them there eyes": all'inizio lento, poi veloce, ma con più sensualità e più malizia, mentre "Sweet Georgia Brown" dimostra in maniera puramente astratta che, catapultati in un caos perfettamente ordinato, certi particolari tipi di uomo se cascano, cascano in piedi! Tipi come Buster Keaton (ebbene si, ancora lui...), ad esempio, il quale, se gli cade addosso la facciata di una casa, infila giusto il vano di una finestra provvidenzialmente aperta... Il violino del grappelli schiva allora i trabocchetti orditi da contrabbasso (Patrice Caratini), chitarre (Marc Fosset e Mick Taylor) e piano (M. Solal) come un gentleman proiettato verso un appuntamento da non mancare assolutamente, costi quel che costi...
Oh, tutti questi brani si trovano nel primo CD... Ho detto fin troppe fregnacce quindi vi risparmio la descrizione del secondo. Aggiungo solo che le altre tracce contengono composizioni di autori di jazz classico quali Porter, Gershwin, Ellington e ovviamente Reinahrdt... Vi lascio con una versione live della meravigliosa "Tears" diversa da quella che compare in questa pubblicazione e un po' meno bella... E visto che è un po' meno bella vi lascio anche la versione originale e Djangologica.
Au revoir...
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