Siamo nel 1983 e, dopo aver pubblicato "Highly Strung", Steve Hackett sembra arrivare alla conclusione che è infine giunto il momento di ultimare un suo progetto concepito ben tre anni prima e sviluppato nel corso del tempo: registrare un disco interamente strumentale per chitarra classica. Inutile dire che la Charisma non vuole sentirne nemmeno parlare e così Steve si vede costretto a rivolgersi ad una casa discografica molto più modesta, ovvero la misconosciuta Lamborghini Records.

In questo lavoro a dir poco atipico, la chitarra di Steve viene in alcuni episodi affiancata dal flauto del fratello John e dalle tastiere di Nick Magnus, le quali comunque svolgono un ruolo puramente di contorno.

Bay of Kings si apre con la traccia omonima e subito la realtà attorno a noi si sgretola e ci ritroviamo ad osservare il moto altalenante di un immenso galeone salpato dalla vecchia Baia dei Re e diretto chissà dove... La chitarra è l'unica attrice di questo cortometraggio sonoro e viene accordata in modo che il suono risulti più profondo sui bassi (la sesta corda viene portata a Re). Dopo questa visione di tempi antichi la finestra sul passato rimane aperta (e lo sarà per tutta la durata dell'opera) e ci mostra un viaggio in terre sconosciute, esplorate solo dai fraseggi di Steve, questa volta però accompagnati dalle tastiere di Nick atte a ricreare una sezione d'archi che sorreggono la chitarra nel suo incedere evocativo. Conclusasi "The Journey", ci appare Kim. La dolcezza di questo ritratto realizzato da tutti e tre i musicisti non ha paragoni e rende questa breve composizione uno dei momenti più efficaci del disco, grazie anche al bellissimo tema del flauto che rimanda alle sonorità di Erik Satie (sulle quali i fratelli Hackett si concentreranno poi nel 2000 con "Sketches of Satie"). Le tastiere rendono il suono ancora più caldo di quanto già non fosse stato cinque anni prima in "Please Don't Touch", dove la prima versione di "Kim" trovava posto. Kim Poor, compagna di Steve nonché artista di grande talento, non limita il suo ausilio al disco semplicemente dando il nome al pezzo a lei dedicato, ma realizza anche il dipinto che farà da copertina a questo lavoro, nonostante tempo dopo, quando il cd sarà rimasterizzato dalla Chrysalis, l'immagine verrà sostituita con un ritratto di Steve atto a suonare la sua chitarra (sempre opera di Kim).

La quarta traccia del disco, intitolata "Marigold", sembra descrivere le scene di vita quotidiana di un piccolo villaggio. La chitarra acustica suona in modo particolare grazie all'utilizzo di un armonizzatore che la fa assomigliare ad una classica. Se possibile il suono viene trattato ancora di più nella seguente "St. Elmo's Fire", in cui Steve con il suo strumento sembra cavalcare le onde scure di un mare in tempesta, ma poco dopo torna la calma e questa volta veniamo accompagnati a visitare la cittadina brasiliana di Petropolis, da cui il nuovo brano prende il nome, soffermandoci ad ammirare i fiumi che la attraversano e le foreste che la circondano mentre la chitarra ci culla in questo splendido scenario. Allo sfumare di questa cartolina musicale, il flauto di John ritorna in primo piano con "Second Chance" e confeziona un altro momento melodico irripetibile prima di ritirarsi ancora una volta all'arrivo della fantasia descrittiva della chitarra di Steve che in "Cast Adrift" sembra volerci nuovamente portare alla deriva di vasti paesaggi marittimi. La traccia che segue ci riporta indietro nel tempo di undici anni, nel 1972, ai tempi di "Foxtrot", e risponde al nome di "Horizons"; cambia il tipo di chitarra utilizzato nell'esecuzione ma non la magica armonia che ha da sempre contraddistinto questo gioiello acustico.

La successiva "Black Light" si differenzia dalle precedenti composizioni per l'uso del tremolo da parte del chitarrista che riesce ad eseguire due linee melodiche contemporaneamente. Le sonorità a tratti cupe di quest'ultimo pezzo si ripropongono anche nel seguente "The Barren Land" dove la chitarra, ancora una volta lasciata a sé stessa, trasmette con le sue note un senso di solitudine e desolazione che andrà a risolversi con la composizione finale del disco: "Calmaria". Il titolo si rifà ad un termine portoghese che indica "la quiete dopo la tempesta" ed è infatti proprio questa la sensazione che ci percorre durante l'ascolto. Dopo le prime note suonate da Steve, Nick fa la sua apparizione alle tastiere supportando con un tappeto d'archi il tema principale fino a condurlo al suo quieto epilogo.

Nella versione rimasterizzata che ho menzionato in precedenza sono presenti altre tre tracce eseguite solamente dalla chitarra: "Time Lapse at Milton Keynes" calma e nostalgica, con due temi pacati e malinconici che si alternano fra loro, "Tales of the Riverbank" che si ispira ad una composizione del chitarrista e violoncellista Mauro Giuliani (1781-1829) e "Skye Boat Song", un vecchio brano popolare ricreato dalla chitarra di Steve e atto a chiudere con la sua delicatezza questo capolavoro acustico.

Senza ombra di dubbio un lavoro non di facile o immediata assimilazione, che richiede numerosi ed attenti ascolti, ma che ha la capacità di trasportare un ascoltatore paziente dentro antichi villaggi o a bordo di navi cullate dal mare.

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