Steve Hackett pubblica in questi giorni un nuovo disco intitolato “Beyond the shrouded horizon”. Seguendo la sua passione di mescolare stili diversi, anche in quest’ultimo lavoro l’ascoltatore rimarrà incantato ritrovando le atmosfere rarefatte del miglior prog sperimentale. Steve ha imparato a sfruttare al meglio il tono naturale della sua voce, sostenendola con i cori offerti dal resto della band, e dai tanti ospiti importanti che hanno voluto partecipare alle registrazioni, in particolare: Amanda Lehmann che suona già nella Steve Hackett Band come seconda chitarra, e Chris Squire degli Yes al basso.
“Beyond the shrouded horizon” è un ottimo disco, fra i migliori fra quelli inaugurati con “To watch the storms”, dove le esperienze si mescolano in un mix dalle mille sfaccettature, mentre le canzoni sembrano collegate da un comun denominatore che il chitarrista tesse sapientemente grazie ai passaggi della sua leggendaria chitarra.
Sorprende che il disco venga distribuito in versione singolo Cd, considerando che il secondo Cd, presente esclusivamente nella Special Edition, completa ed approfondisce quanto già introdotto dal primo dischetto. Vediamo nel dettaglio questo nuova fatica di Mr. Hackett & soci.
"Loch Lomond": è un lago della Scozia. Da questa bellezza naturale Steve apre il disco con un intro solenne che si trasforma dopo poche battute in un pesante riff elettrico che farà la gioia del pubblico che lo ascolterà live nei prossimi concerti. Un cambio improvviso di tempo, e ci ritroviamo in un’atmosfera soffusa, quasi celtica, con chitarre acustiche, cornamuse, cori, che si rincorrono in preziose tessiture decisamente prog.
"The Phoenix Flow": splendido strumentale e coda naturale del brano precedente, contraddistinto dalla bravura di Steve alla chitarra elettrica, ed al suo tocco magistrale in grado di rendere emozionante anche il fraseggio più semplice.
"Wanderlust": brano per chitarra classica della durata di soli 44 secondi, ponte ideale fra due canzoni.
"Til these Eyes": dove termina Wonderlust, lì inizia la floydiana Til these eyes, con la voce di Hackett ben a fuoco su una mesta melodia che si sviluppa su basi acustiche, ed un’ottima orchestra gestita dalle tastiere di Roger King.
"Praire Angel": brano dalle ampie escursioni solistiche, con Steve che gestisce con la consueta disinvoltura la sua Gibson Les Paul, talvolta distorta al massimo. In realtà si tratta nuovamente di un ponte fra due canzoni, lo sfumato dà infatti lo spunto per l’inizio della canzone seguente.
"A place called freedom": potremmo considerarla il singolo dell’album, grazie alla sua immediatezza, ed alla felice scelta degli strumenti utilizzati. Arrangiamenti di alto valore, fra i più sofisticati ascoltati nella produzione del chitarrista inglese.
“Between the sunset…”: questa melodia ricorda vagamente alcune cose già ascoltate in Defector, in particolare “Leaving”, sorretta in questo caso dalla chitarra acustica e dai cori che si rincorrono per dare vita ad una suggestiva cantilena.
“Waking to Life”: atmosfere orientali per la suadente voce di Amanda Lehmann. Una canzone fra le più leggere del disco, ma non per questo priva di quel no so che d’irresistibile, quasi un invito subliminale a riascoltarla per coglierne ogni singola sfumatura nascosta.
“Two Faces of Cairo”: linee musicali che sembrano voler tratteggiare le vie assolate del Cairo. In questo caso è troppo netto il contrasto con la leggerezza della canzone precedente, una scelta forse voluta dall’autore.
“Looking for Fantasy”: canzone quasi pop, non stona eccessivamente con gli altri brani, soprattutto perché impreziosita dai numerosi interventi di chitarra che ne valorizzano la pur debole struttura melodica.
“Summer’s Breath”:nuovo intervallo acustico che si lascia apprezzare prima d‘introdurre la brutalità della canzone seguente.
“Catwalk”: come già segnalato in precedenza, in questo lavoro confluiscono diversi stili musicali, questo è il momento del Blues, inteso come il più viscerale e pesante Blues che si possa immaginare. Stona ovviamente con tutto il resto dell’opera, lo potremmo considerare un vero monumento alla diversità musicale così tanto ricercata al chitarrista britannico.
“Turn these Island Earth”: brano conclusivo della lunghezza di oltre undici minuti racchiude concettualmente le intenzione espresse dell’intero disco. I cambi di stile e di tempo sono qui talmente repentini che al termine si ha l’impressione di non aver idea di cosa si sia effettivamente ascoltato. Da sentire i cuffia con la massima apertura mentale possibile.
Il secondo Cd, presente solo nella Special Edition, non è un disco con elementi casuali inseriti appositamente per vendere l’edizione speciale, lo dimostrano i primi quattro brani strumentali.
Four Winds: West, brano per chitarra acustica d’immensa bellezza, giustifica da sola l’esistenza di questo disco extra.
Non passa inosservata ovviamente la dolce melodia orchestrale di “Pieds Em l’air”, o la stupefacente “She said maybe”, mentre “Enter the Night” è la versione cantata di “Riding the Colossuss” conosciuta anche come “Depth Charge”, strumentale che Steve proponeva live alcuni decenni fa.
Infine con “Eruption Tommy” si aggiunge l’ennesimo gioiello chitarristico, uno dei tanti momenti di alta musica di questo incantevole “Beyond the shrouded horizon.”
Conclude il disco la riproposta di “The air conditioned nightmare” qui ribattezzata in “Reconditioned nightmare” già ascoltata in “Cured” del 1981, nonché in decine di spettacoli dal vivo.
Facciamo i nostri sinceri complimenti a Steve Hackett per la sua capacità di sapere proporre sempre qualcosa d’inatteso ed interessante, con uno stile unico che lo contraddistingue, e che lo pone fra i migliori “musicisti storici” ancora in circolazione. Non ne rimangono molti, purtroppo.
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