L'album fatto in casa. Si, è questa la definizione che si potrebbe dare a questo lavoro che subito definisco eccezionale. Fatto in casa poichè il grande chitarrista di Plimco non ha potuto fare altro che attrezzare il suo soggiorno di casa per la realizzazione del lavoro in questione, data la situazione venutasi a creare con l'altro boss della sua casa discografica (camino records), Billy Budis il quale in combutta con la ex moglie di Steve Hackett (Kim Poor), aveva deciso di ridurre in rovina il nostro eroe per questioni inerenti diritti d'autore e altre amenità legali. Essendo avvenuta la realizazione del disco in piena battaglia legale, Steve non potè usare la sala d'incisione solita. Il tribunale diede poi ragione ad Hackett quando ormai il disco era completato. Altro particolare è che "Out Of The Tunnel's Mouth" si può comperare solo tramite il sito dell'ex Genesis.

Detto questo, bisogna solo aggiungere che per motivi di acustica, non è stato possibile usare un batterista vero e quindi tutte le parti "percussive" sono state realizzate dal grande Roger King, e devo dire che egli è riuscito a dare al suono della batteria campionata un realismo eccezionale.

Out Of The Tunnel's Mouth vede la luce il 6 ottobre 2009 e comprende otto brani i quali vanno come sempre quando si parla di Hackett, metabolizzati dopo più di qualche ascolto. I pezzi di questo disco ti entrano lentamente ma costantemente nel cervello e ti conquistano ad ogni nuovo ascolto. Hackett è da sempre considerato uno dei grandi del progressive, ma effettivamente qui si puo' parlare di commistioni tali che il termine progressive è davvero riduttivo.

Il disco inizia con "Fire on the Moon", una canzone dai toni malinconici e caratterizzata da due assoli di chitarra struggenti e come al solito marcati, forti, vibranti che inframmezzano le strofe con il cantato. Da rimarcare il bel lavoro al basso di Chris Squire che dona al pezzo un bell'incedere in stile Bolero.

Si passa poi a "Nomads" e qui c'è da rimanere direi fulminati dalla magia di questo brano che inizia con un assolo di classica in perfetto stile flamenco (da consigliare ai detrattori di Hackett, per fare rendere loro conto di che razza di talento si sprigioni da quelle dita). Dopo l'intro, inizia la parte cantata su un ritmo sempre di stampo flamenco con le percussioni e le backing vocals di Ann Lehman a fare da tappeto sonoro. Dopo un improvviso stop del cantato seguito da un tipico batter di mani in stile spagnolo su un velocissimo assolo alla classica, si riceve un pugno nello stomaco dal violentissimo stacco rockeggiante, robusto in cui la chitarra elettrica in pieno stile Hackettiano dona brividi a profusione fino alla fine del pezzo. E il tutto ti lascia senza fiato... forse il pezzo più bello dell'intero album.

Un sax soprano suonato con dolce armonia da Rob Townsend ci porta a "Emerald and Ash", canzone dalla melodia solo apparentemente banale ma in realtà piena di emozionalità. Le tastiere di King segnano il cammino in modo discreto non roboante ma "pieno". E qui abbiamo la magia della 12 corde suonata da un eccezionale guest, Anthony Phillips (chitarrista dei Genesis della prima ora). La canzone procede sui placidi binari della ballad per quattro minuti circa fino a giungere a uno stacco che conduce alla parte più psichedelica del pezzo in questione dove le distorsioni della sei corde di Steve danno vita a deliri veri e propri. Vera sperimentazione, che però ha di base una certa armonia. Canzone decisamente controversa ma affascinante

Il brano che segue è un esercizio di puro virtuosismo alla chitarra elettrica con un ritmo rock al limite dell'hard. Forse non una gemma (il titolo di questo pezzo è "Tubehead"), ma sempre di classe estrema.Anche in questo pezzo si nota (eccome) il basso di Chris Squire.

Il pezzo successivo ci riporta grazie all'intro in puro stile Morricone (il maestro non se ne avrà a male), in atmosfere rarefatte in cui la classica di Hackett dona brividi grazie alle melodie e all'effetto orchestrale di Roger King alle tastiere e alla collaborazione di Amanda Lehman al violino e Dick Diver al contrabbasso. Si sfocia subito nel bel mezzo di "Sleepers"; andamento sognante con il piano e la chitarra classica a ricamare con la voce di Steve che canta di "dormienti". Poi anche qui, esplosione improvvisa con base ritmica durissima e un impasto vocale e musicale in stile piuttosto Beatlesiano, fino ad arrivare a momenti di intenso lirismo evocativo in cui la chitarra elettrica esegue ricami incredibili inframmezzati da stop di tipo orchestrale. Poi tutto si riporta sui toni sognanti con cui "Sleepers" era iniziata.. Un momento davvero fantastico di "Out Of The Tunel's Mouth".

Si arriva poi a "Ghost in the Glass" pezzo strumentale in cui la tecnica di Steve Hackett viene esaltata grazie ad alcuni tipici e struggenti lamenti della sua chitarra elettrica. Brano breve ma di un'intensità stupefaciente.

"Still Waters", è il pezzo successivo, uno standard blues non proprio originale e nemmeno particolarmente affascinante, ma almeno si puo' ascoltare Hackett che si destreggia nelle scale tipicamente blues e si sa che il blues era il primo amore del nostro eroe...

"The Last Train to Istanbul" chiude questo disco. Qui siamo di fronte a un pezzo altamente etnico di stampo molto orientaleggiante con Hackett che si esibisce al sitar elettrico. Atmosfere rarefatte e ritmo che chiudendo gli occhi, ti portano davvero alla porta d'oriente. Il tutto condito da una certa presenza del sax di Rob Townsend.

Cosa dire in chiusura? Credo che la maturità artistica soprattutto compositiva di Mr. Hackett (la sua perizia alla sei corde è cosa ormai ben nota da tempo immemore...), raggiunga qui vette elevatissime e che questo disco prosegua un certo discorso musicale iniziato con "To Watch the Storm" ormai sette anni fa.

Per coloro che amano questo artista intelligente, raffinato e per coloro che invece continuano a pensare che sia solo l'ex chitarrista dei Genesis, consiglio di andare ai suoi imminenti concerti italiani del prossimo luglio. I primi si beeranno ancora una volta della classe ialina di cui Hackett è in possesso, i secondi forse finalmente capiranno veramente con chi hanno a che fare. Long live Mr. Hackett!

STEVE HACKETT: CHITARRE E VOCE SOLISTA / ROGER KING: TASTIERE E DRUM PROGRAMMING / NICK BEGGS: BASSO E CHAPMAN STICK / ROB TOWNSEND: SAX CHRIS SQUIRE: BASSO / JOHN HACKETT: FLAUTO / DICK DIVER: CONTRABBASSO / ANN LEHMAN: VIOLINO / AMANDA LEHMAN: BACKING VOCALS / ANTHONY PHILIPS: CHITARRA ACUSTICA 12 CORDE

Uscita: 6/10/2009. Acquistabile solo on line

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