Qualche sera fa scorrendo i vinili usati a 5 euro venduti da un hobbista all’interno di una festa nella mia città ho avuto un piccolo tutto al cuore. Tra uno Zucchero d’annata e un Bennato di seconda fascia mi è capitato tra le mani I duri non ballano, disco di esordio della Steve Roger Band, datato 1986. Prima di iniziare a scrivere qualcosa su questo lavoro devo fare una precisazione: non sono un vascomane. Ho ascoltato come tutti quelli della mia generazione Vasco Rossi da Zocca da ragazzo, ho 46 anni e ho quindi incrociato la storia del signor Rossi nel suo momento (secondo me) migliore. Prima dell’esplosione di inizio anni ’90, quando faceva piccoli dischi pieni di provocazione che tanto affascinarono i giovani di allora. Di riflesso quindi si sapeva anche chi era la Steve Roger Band.

Il gruppo è stato per Vasco Rossi quello che sono stati, che so, gli Stadio per Lucio Dalla, gli Champagne Molotov per Enrico Ruggeri. Erano insomma il gruppo che lo accompagnava dal vivo. Nati nel 1980 durante la registrazione di Colpa d’Alfredo, pieno zeppo di amici storici del rocker emiliano, come il sottovalutatissimo Massimo Riva e Maurizio Solieri. Bene. La band ad un certo punto della sua storia ha deciso di andare con le sue gambe. Complice anche Guido Elmi, produttore storico di Vasco Rossi, che in questo esordio del 1986 suona le percussioni e le tastiere. Proprio da Elmi prendono il nome, Steve Roger era lo pseudonimo in campo produzione musicale, e ci provano. Prima, nel 1981, con un 45 passato del tutto inosservato, poi, nel 1986 con questo disco. Vasco Rossi è già un piccolo fenomeno, ma ancora molto circoscritto. Più che altro si è fatto conoscere per i fatti di cronaca.

Per loro il successo, breve e legato solo ad una canzone, arriverà l’anno dopo. Centreranno uno dei tormentoni italiani degli anni ’80 quella “Alzati la gonna” che nel 1988 gli fa vincere il Telegatto come Gruppo dell’anno. Erano altri tempi, il rock indipendente era un miraggio, l’hardcore punk era solo di nicchia. In Italia la musica rock mainstream era quella lì. Alti e bassi per un paio di anni, poi lo scioglimento. Massimo Riva morirà nel 1999, nel 2006 una reunion tributo. Questa in breve la parabola artistica della SRB (sulla copertina di questo disco il nome appare così, acronimo e senza puntini). Questo lungo preambolo per inquadrare il periodo storico prima di parlare di questo disco. Lo acquistai personalmente credo già in offerta al negozietto di dischi della mia città pochi mesi dopo la sua uscita. In musicassetta. Pagandolo tipo 5 mila lire. Senta troppa convinzione. Mi aveva già stufato Vasco Rossi figuriamoci la sua band. Faceva un po’ ridere a iniziare dalla copertina.

La band, formata allora oltre che dai già citati Solieri e Riva anche da Mimmo Caporeale, Daniele Tedeschi, Andrea Innesto e Guido Elmi (ma in copertina ne appaiono solo quattro) con un abbigliamento tamarro all’inverosimile, pieno stile anni ’80 giacche con le spalline, giubbetti smanicati, occhiali da sole e facce da duri. Va bene il titolo è I duri non ballano infatti. Uscito per la Cbs (anche qui altri tempi, una major produce degli esordienti), in quattro canzoni su otto c’è la firma di Vasco Rossi, tre le firmano solo gli altri componenti e l’ultima, a chiudere il lato A, è una incredibile versione di “Desperado” degli Eagles, con testo in Italiano, che non centra nulla con quello di Don Henley e Glenn Frey, re-intitolata “Me ne vado” per assonanza. Già solo per questa lesa maestà verrebbe da stroncare il disco. Ma invece oggi come allora inspiegabilmente mi piace. Lo ascoltai molto a sorpresa negli anni ’80, lo sto riascoltando con immenso piacere oggi.

Mi rendo conto che oggi è solo una Madeleine proustiana, mi ricorda la mia adolescenza di rockettaro che passava dal rock sui generis al metal più estremo adesso che vado per i 50. Si perché la produzione è dannatamente anni ’80, lucida quel tanto, con il sax qua e là a fare da contrappunto, le chitarre levigate, le melodie cathcy che ti si incollano alle orecchie. Una spruzzata di reggae nella canzone che apre il disco, “Ok si”, che fu anche il singolo, con un testo che più Vascorossiano non si può (Ok si va bene, questa notte sto con te, Ok si vedrai questa notte morirai…. E via così). Poi a seguire tempi medi e melodia in “Senza un alibi” e “Femmina come te”, la già citata “Me ne vado”, una specie di ballata “C’è chi nasce donna”, la trascinante “Questa sera rock’n’rool” (che darà il titolo al disco live di qualche anno dopo), con un testo che fa sorridere per ingenuità, la sana ingenuità degli anni ’80: “questa sera che noi che più che mai ci spacciamo da soli dopo tutta una vita di tv e videoregistratori”, maledetti di provincia insomma. Per finire un altro pezzetto rock melodico come “Ma non vedi” e la inevitabile ballata finale dolce amara “Sai qual è la verità” il tutto per poco più di mezz’ora di musica.

Che dire. All’epoca vendette qualche migliaio di copie, che credo siano finite quasi tutte come quella che ho trovato io, negli scatoloni dei dischi usati. Oggi sarebbe un mezzo successo, allora un flop. Darò tre stelle per il meccanismo prima spiegato dei ricordi. Se siete archeologi della musica italiana, se amate gli anni ’80 (come il cattivo di Cattivissimo 3), se ricordate da SRB solo per il brano one shot “Alzati la gonna” dategli un ascolto. E’ ovviamente fuori catalogo, non è mai stato ovviamente stampato in CD, ma su You Tube si trova tutto intero e una mezz’ora la si più buttare per farsi una idea di come suonava il rock italiano negli anni ’80, e anche per sentire ancora una volta la voce di Massimo Riva, uno dei musicisti italiani più sottovalutati, sfortunati ma anche simpatici di sempre.

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