Intenso e soddisfacente questo terzo disco solista dello storico cantante e tastierista dei Kansas, uno dei padri fondatori del genere progressive metal, qui colto in piena forma ad oltre trent'anni dall'esordio artistico (siamo nel 2005).
A ben sentire la strepitosa (in gioventù) emissione vocale del nostro si è impercettibilmente ed ulteriormente arrochita, perdendo un minimo anche in potenza, ma grinta e passione sono quelle di sempre e la dinamica e l'estensione risultanti, pur leggermente compromesse, sono ancora tali da consentire a Steve di aggredire il genere con estrema efficacia ed emozione.
Walsh non è autore molto prolifico... nel corso della sua lunga militanza col gruppo di Topeka ha pure sofferto di alcuni, estesi black out, passati inosservati grazie alla presenza in formazione di colleghi a loro volta compositori. Di opere a suo nome ne ha fatte uscire solo una a decennio ma è questa qui presente a rappresentarlo compiutamente al suo meglio, ripiena come è di intenso, convinto, diversificato pomp/progressive articolato in otto ispirati e mutevoli episodi, poi lievitati a dieci in una più recente ristampa del dischetto.
I suoni sono belli e potenti seppur eccessivamente digitali, si sente ad esempio che per le chitarre elettriche si è prescelta la tecnologia a modelli fisici, la quale non riesce ad evitare del tutto la resa un tantino asfittica dei timbri. Queste opere realizzate per buona parte tracciando suoni ed esecuzioni direttamente dentro il personal computer suonano a bomba, precise e dinamiche, invero carenti a livello di realismo ambientale. D'altronde il budget occorrente per mettere un gruppo di musicisti più o meno per un mese filato dentro uno studio non è minimamente confrontabile con la possibilità odierna di registrare buona parte di un disco, al limite, addirittura nella propria camera da letto (escludendo tipicamente voci e batteria, ancora bisognose di uno studio attrezzato e acusticamente trattato per suonare professionali). Opere così riescono ad uscire sul mercato proprio perché la tecnologia odierna consente di farsele quasi in casa.
Per il resto c'è da aggiungere solo complimenti, senza troppo bisogno di distinguo fra i singoli pezzi giacché l'album risulta molto compatto, variegato e tosto, costantemente ispirato. Gli assoli di chitarra (è in azione il bravo Joel Kosche, dei Collective Soul) sono pochissimi, si lavora per lo più di ritmica, su riffoni resi parallelamente aspri e cupi dalle abrasive simulazioni del Rectifier della Mesa Boogie, un amplificatore da molti anni a questa parte assoluta tendenza per la creazione delle sonorità metal.
I momenti di eccellenza sparsi qua e là possono essere individuati (a mio gusto ovviamente... ciascuno potrebbe indicarne di differenti, premessa l'indispensabilità del gusto per queste musiche spesso elaborate e sovente drammatiche) nel superbo arpeggio acustico di "Pages of Old", nel magnifico coro gospel che sostiene le evoluzioni a perdifiato dell'ugola di Walsh su "The River", in tutta la super suite "After", ripiena di grandi passaggi strumentali e melodici e molto vicina ai Kansas grazie all'ospitata del loro attuale violinista David Ragsdale, nel compatto procedere in tre quarti di "Hell Is Full Of Heroes" ed infine nell'accesa power ballad che intitola il lavoro.
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