Voi siete liberi di non crederci, ma su Debaser ci saranno almeno 200 recensioni di "The dark side of the Moon" e nemmeno una di "E.T.", cioè di uno dei film più famosi e "remunerativi" di tutti i tempi (è il settimo maggior incasso di tutti i tempi, con 2.917.000.000 dollari al box-office). Dai, onestamente, chi non ha mai visto E.T.?

Il film, che arrivava dopo una carrellata di successi travolgenti ("Lo squalo", 1975; "Incontri ravvicinati del terzo tipo", 1977; "I predatori dell'arca perduta", 1981), si deve all'intuizione di Melissa Mathison, compagna di Spielberg dal 1980. Insieme, dopo una prima bozza di sceneggiatura titolata "Night Skies", e partendo da un'idea invece dello stesso Spielberg (la storia di un amico immaginario nei sogni di un bambino che vede i propri genitori divorziare, tema autobiografico dato che il divorzio avvenuto in casa Spielberg molti anni prima fu per il giovane Steven un vero e proprio shock), scrivono quello che sarà destinata ad essere la base di partenza di "E.T." (titolo provvisiorio "E.T. and Me"). L'idea del personaggio dell'extraterrestre sperso sul pianeta Terra è tutta di Spielberg il quale chiede al proprio team degli effetti speciali (capitanato dal mitico Carlo Rambaldi) una figura che ricordi "una tartaruga senza guscio" e che sia il più dolce e gentile possibile. L'alieno buono, come già in "Incontri ravvicinati". La Columbia, alla quale Spielberg sottopone il copione, lo rifuta definendolo sprezzantemente "uno stupido film della Walt Disney" (che poi, cosa avrebbero di stupido i film della Walt Disney resta un mistero), mentre la Universal accetta e si prende in carico il progetto.

La storia è nota e non vale la pena raccontarla. Meglio prestare la propria attenzione sullo stile Spielberg, che è eccezionale. Essendo un film che ovviamente si presta a più interpretazioni (io lo considero il film più anti razzista di sempre: uno straniero venuto da lontanissimo sbarca sulla Terra e viene capito solo da chi ha ancora il cuore puro, cioè i bambini, mentre gli adulti, corrotti nell'animo e nei sentimenti, lo rifuggono o ne vogliono praticare strani esperimenti scientifici) ma è evidente che il tema fanciullesco sovrasta tutto, ed allora Spielberg utilizza la macchina da presa ad altezza bambino, alzandola pochissimo (spesso gli adulti vengono ripresi solo dalla vita in giù) e s'inventa una serie di sequenze una più magistrale dell'altra. Citarle tutte è impossibile, ma alcune sono epocali: E.T. ubriaco che barcolla nella vasca da bagno; il celebre volo con le biciclette destinato a diventare una delle immagini cinematografiche più potenti e scopiazzate di tutti i tempi e la scena, a montaggio parallelo, in cui il nostro caracolla ubriaco in casa mentre il giovane protagonista del film balla in classe con una ipotetica fidanzatina mentre si alternano in Tv le immagini di "Un uomo tranquillo" di John Ford. Per non parlare del finale, quel "io sarò sempre qui" col ditone puntato sul cuore sta a significare "non perdere l'innocenza di oggi e non diventare come quegli adulti che ti circondano" (la fanciullezza come qualcosa da prolungare il più possibile, e Miyazaki, per dirne uno, da "E.T." ci ha pescato molto).

Spielberg, che deve destreggiarsi con un cast prevalentemente formato da ragazzini, gira, caso unico nel suo curriculum, sequenza per sequenza in modo cronologico (facendo, di fatto, aumentare il budget iniziale). Ma la scelta ripaga:

"Ci aiutò moltissimo, perché i ragazzi sapevano a livello emotivo, dove si trovavano e non avrebbero avuto idea di dove si sarebbero trovati il giorno dopo. Così, come nella vita vera, ogni giorno era una sorpresa. La loro recitazione non si sarebbe potuta nemmeno definire tale. Era più una reazione agli eventi" (Steven Spielberg)

Pieno zeppo di citazioni (da "Guerre stellari" alla Disney per finire coi giochi di ruolo e i fumetti) è un film sempre sull'orlo della retorica e del sentimentalismo zuccheroso (come spesso a Spielberg accadrà) ma non deraglia mai, sempre bilanciato e "in bolla", capace di raccontare un America popolare e sanguigna mescolandola a temi altissimi e nobilissimi come l'antirazzismo e le brutture della crescita in età pre-adolescenziale. Attraversato da un entusiasmo incalzante (che deve molto al cinema ottimista, di molti anni prima, a firma Frank Capra) è un blockbuster con l'anima, girato (e pensato) in un momento in cui a Spielberg girava tutto magnificamente (gli anni '80 sono stati la sua Golden Age).

Proverbiale la battuta "E.T. telefono casa" e successo planetario, come si diceva, coronato da 3 Oscar (miglior colonna sonora, l'ennesimo capolavoro di John Williams; migliori effetti visivi e migliori effetti sonori speciali). Fu presentato fugacemente al Festival di Venezia l'ultimo giorno, fuori concorso, senza troppa pubblicità, eppure si capì subito che quel film avrebbe potuto sbancare i botteghini di tutto il mondo (ma, forse, non lo capirono gli alti papaveri di quella Mostra in Laguna).

Nel 2002 Spielbeg ne fece uscire una discutibilissima versione large in Dvd. Di large, effettivamente, aveva poco: 4 minuti in più (un paio di primi piani dell'alieno, i bagliori dell'astronave più nitidi e l'iniziale fuga tra i campi tirate un po' più alle lunghe). Di discutibile aveva il fatto che, essendoci stato l'11 settembre qualche mese prima, vennero ridoppiati alcuni dialoghi in cui la parola "terrorista" veniva sostituita da "hippie" (?!) e gli agenti di polizia anziché le più classiche pistole tengono in mano degli incredibili (e oltretutto fuori moda) walkie-talkie. Non solo: il protagonista Elliott, nell'originale, apostrofa il fratellino con un ben poco cordiale "penis breath", la nuova edizione censura tutto. Nell'unica sequenza inedita, il tubetto di dentrificio che utilizza E.T. è talmente digitale (e finto) da far sbellicare anche lo spettatore meno smaliziato. L'edizione italiana ridoppia tutto, ai limiti dell'indecenza. Insomma, come rovinare un classico (ma gli esempi, in tal senso, sarebbero innumerevoli).

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