"Revenge Of The Selfish Shellfish" è uno di quegli album che compri perché attirato dai nomi che campeggiano in copertina; lo ascolti una volta, lo riponi al suo posto negli scaffali, lo fai vegetare per lunghi periodi nella polvere; è uno di quegli album che poi ti ricordi all'improvviso di possedere, lo ascolti una seconda volta e lo riponi nuovamente negli scaffali a far vegetare per qualche altro anno.

"Revenge Of The Selfish Shellfish" non ha evidentemente il pregio del buon vino, che invecchiando migliora: la strana coppia Steven Stapleton (Nurse With Wound) e Tony Wakeford (Sol Invictus) non tiene così fede alle promesse che sembrava farci sperare un tal sodalizio. Correva l'anno 1992: i due, che avevano avuto modo di incontrarsi e conoscersi qualche tempo prima durante le sessioni di registrazione di "Christ And The Pale Queens Mighty In Sorrow" dei Current 93, trovarono finalmente il modo di consolidare l'amicizia con un lavoro in studio. I due si saranno anche divertiti, e per loro può essere stata una simpatica esperienza: potevano però limitarsi ad un pic-nic un sabato pomeriggio e fumarsi due canne, invece che fare un disco di merda. Ma si sa, registrare e pubblicare dischi non ha mai pesato a certa gente.

L'accostamento dei nomi, si diceva, può così abbagliare in un primo momento (come del resto attira la surreale copertina in tipico stile Babs Santini, autore di molti artwork di Nurse with Wound e Current 93), ma prendiamo per un secondo in seria considerazione la faccenda: cosa avranno mai da spartire il cervellotico e geniale Stapleton e il passionale ed approssimativo Wakeford? I Nurse with Wound sono una cosa, i Sol Invictus un'altra. Quel che ne viene fuori è un ibrido sgangherato fra dark-ambient ed un'insensata musica strumentale che porta con sé tutti i difetti (e, ahimé, non i pregi) dei Sol Invictus di quegli anni: in primis la puerilità tecnica ed esecutiva di Wakeford, e non faremo fatica a credere a quanto sto affermando se pensiamo al capoccia dei Sol Invictus in veste di polistrumentista (ossia alle prese con chitarre, basso, tastiere e percussioni). A poco servirà la professionalità dimostrata in sede di mixaggio da un inossidabile Stapleton (in verità anche lui alquanto svogliato; o almeno coerente nei panni di chi vive il progetto come uno scazzo fra amici: zero voglia di menarsela, molta voglia di farsela prendere bene).

E quindi? E quindi "Revenge Of The Selfish Shellfish" finisce per essere un episodio sciapito, privo di un'urgenza comunicativa a sostenerlo, trascurabile anche per i fan più incalliti dei personaggi in questione. Una decina di tracce buttate lì in fretta e furia, apparentemente senza capo né coda. Il rigore metodologico di Stapleton si sfalda al contatto con i pasticci strumentali di Wakeford; la passionalità, il romanticismo, l'indole apocalittica di quest'ultimo vengono colte da paralisi avvicinandosi alla lucida freddezza del primo. Insomma, i due si azzoppano a vicenda, confezionando un lavoro che senz'altro rispecchia in pari modo le due personalità, ma che finisce per essere un "né carne né pesce" lontano millenni luce, ad esempio, dai sublimi risultati a cui il sodalizio fra lo stesso Stapleton (mente) e l'amico David Tibet (cuore) ha portato in seno all'esperienza Current 93.

Meglio comunque le parentesi "esoteriche" di Stapleton (la title-track, la successiva "Walk the White Ghost", l'immensa - dieci e minuti e passa - "The Frightened City"), autentici incubi sonori (talvolta arrotondati dal truce basso e dagli alambicchi sonori di Wakeford, che riesuma le sue antiche pulsioni industriali), che gli episodi in cui il panciuto menestrello prende agio e ha modo di sputtanare tutto con la sua incompenza. Da denuncia, in particolare, le parti di pianoforte: irritanti sproloqui pianistici degni di una vecchietta di novant'anni dalle dita anchilosate che sembra cimentarsi, ubriaca, alla pianolina del nipote di cinque anni.

C'è spazio anche per la voce di Wakeford, che, oltre a vari interventi "d'atmosfera", si concede il ruolo di protagonista in due pseudo-ballate in stile Sol Invictus: "Lucifer Before Sunrise" e "Our Lady of the Wild Flowers", entrambe comunque non all'altezza della produzione artistica media del Sole Invitto.

Per lo meno, c'è da dire, i due non si prendono sul serio, e qua e là si registrano con piacere degli sprazzi di umorismo che palesano un'auto-ironia che, nonostante l'estenuante drammaticità di molti loro lavori, i due artisti non hanno mai nascosto. Ovvio che da solo questo aspetto non basta per salvare dal naufragio un lavoro piuttosto bruttino, ma che, in definitva, ha il difetto imperdonabile di essere inutile.

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