Avete mai avuto la sensazione che un artista vi stesse prendendo in giro? Sicuramente sì. Ma come si fa a discernere la fregatura dalla genuina espressione o dalla sperimentazione artistica? Se pensiamo alla forma, il confine è labile, non ci sono paletti oltre i quali la forma d'arte si trasforma in truffa; la chiave di tutto è nella capacità duratura dell'oggetto artistico a creare emozioni, indipendentemente dal fatto che siano queste belle o brutte. Quanti cultori della classica inorridivano ad inizio novecento sentendo Stravinsky o Webern? Quanti cultori del jazz avranno mandato i peggiori anatemi a Miles Davis per aver attaccato i suoi strumenti alla presa della corrente? Eppure chi oggi avrebbe il coraggio di dire che quella degli artisti succitati non è arte o, peggio, è una presa in giro? Credo nessuno. Nessuno sano di mente, almeno. Ma perchè questa lunga introduzione? Perchè forse ci troviamo in uno dei casi sopra citati.
Diciamoci la verità: di fronte a quasi un'ora di distorsioni spalmata su quattro canzoni aritmiche, amelodiche, di una staticità quasi zen, sarebbe facile pensare ad uno scherzo di cattivo gusto. Ma rimanendo solo sulla superficie ignoreremmo del tutto il lato concettuale del progetto Sunn O))), forse la sua vera anima. L'ascolto di queste quattro canzoni è come uno sguardo al microscopio: si è talmente vicini al suono da non riconoscerlo, come se i riff si dilatassero e si allargassero davanti ai nostri occhi, al punto che non riusciamo a capire dove cominciano e dove finiscono, al punto che il loro muoversi ci sembra così lento che lo confondiamo per una stasi. Per questo è consigliabile ascoltare il disco a volumi improponibili, si deve venire sommersi e sovrastati dalla larchezza e dall'altezza del suono, bisogna davvero venirne completamente avvolti. Anche le piccole chicche e i tocchi di classe del disco sono carpibili solo a elevati volumi; le note alte distortissime e irriconoscibili dell'opener "Richard", le timide voci pulite di "NN O)))", i pattern fantasma di batteria in "Rabbits' Revenge", l'effettistica disturbante e i pesantissimi palm mute di "Ra at Dusk".
Parlando di dati più tecnici, il disco si presenta piuttosto bene: l'artwork è intrigante quanto basta, la produzione è ottima, potente e abbastanza nitida, e calza a pennello col contenuto del disco. Sul versante dell'abilità strumentale c'è poco da dire: forse chiunque potrebbe risuonare queste canzoni, lente come sono, ma pochi forse sarebbero stati capaci di concepirle così bene; pensateci un attimo: cosa ci vuole a non annoiare con alta velocità esecutiva e con due miliardi di note a pezzo? Vi sembra lo stesso riuscire a non annoiare con quattro note a ritmo lentissimo e senza sezione ritmica? Non credo. E allora perchè i Dream Theater mi annoiano e i Sunn O))) no? Forse perchè questi ultimi a comporre sono capaci davvero, e non scopro certo l'acqua calda; Greg Anderson e Stephen O'Malley erano gente che in ambito underground era già piuttosto conosciuta, nessuno stupore che sapessero il fatto loro.
Il mio voto al disco è un ottimo 4.5, ma da prendersi con le molle. Essendo l'ascolto di questo lavoro un'esperienza strettamente personale, non posso pretendere dare un voto davvero oggettivo. Mai come su quest'opera le questioni di gusti sono l'unica legge da seguire. Seguitele!!
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