Quanto può essere libera la musica? Quanto può essere "puro" l'atto creativo del musicista, alla luce della secolare, millenaria tradizione musicale "globale" che si porta dietro l'umanità? È possibile parlare di "novità" musicale nella realtà contemporanea, in cui qualunque gruppo può proporre le proprie creazioni a chiunque senza limiti e gli eccessi pubblicitari creano 'next big things', incredibili capolavori e ultrasperimentatori mai sentiti prima a ogni pié sospinto?
I Supersilent evidentemente hanno pensato che un modo ancora c'è (oltre a quello di non fottersene niente, che magari può anche andare bene, ma anche no), e così si sono messi in quattro (Arve Henriksen, trombettista autore di bei dischi solisti, Helge Sten, noto per l'oscuro progetto ambient deathprod che qui si dedica agli 'audio virus', Ståle Storløkken alle tastiere e Jarle Vespestad alla batteria), dal 1997, in Norvegia, a realizzare il loro nuovo linguaggio musicale. L'approccio è radicale come non mai: già il nome è tutto un programma, ma ci si mette anche il rumor (mai smentito) che i quattro non comunichino mai tra una sessione di registrazione o un concerto e il successivo (sessione o concerto), la totale mancanza di interviste da parte del gruppo, solo tre foto promo che li ritraggono insieme mentre non suonano (non sono bellissimi), e soprattutto i dischi: determinati da un mero numerale (1, 2, 3 e così via) con le canzoni che fanno altrettanto: 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 2.1, 2.2, con le copertine, tutte con lo stesso identico e scarno stile grafico (cambia solo il colore di sfondo)... già abbiamo capito qualcosa degli intenti di questi quattro mezzi geni. La comunicazione è ridotta a zero, se non è comunicazione tra gli strumenti. Questi quattro individui sono talmente inesistenti, quando non suonano, che ci potrebbero anche far venire dei dubbi.
Tutto si risolve nella perfomance, nell'atto musicale, nell'interazione tra gli strumenti: così il linguaggio musicale dei Supersilent non è altro che un continuo dialogo, un costruire e distruggere insieme (o da soli), un porsi nei confronti degli altri in modo sempre nuovo. In cerca di cosa? Non saprei dirlo. Forse l'autoreferenzialità raggiunge livelli infiniti qui (infatti non c'è niente a cui fare riferimento, ma solo una continua, immutabile "novità") ma alle mie orecchie (e alla mia mente) quest'infinito 'muoversi verso' è abbastanza eccitante da scaricare fiumi di endorfine giù nel mio sistema nervoso (sia chiaro, amo le endorfine).
Veniamo al sodo (sodo?): Supersilent "1-3" è il primo parto del quartetto, esce nel 1997 per l'egregia Rune Grammofon (presso cui i Supersilent sono stabilmente accasati), e come dice il nome contiene i dischi 1, 2 e 3. Devastante l'ascolto seriale: la quantità di spunti sonori è a dir poco monolitica, l'effetto è alienante e straniante. Ogni disco, ogni traccia è un intero mondo esplorabile in lungo e in largo (più e più volte, per rivelare di volta in volta nuove sciccherie), le pulsazioni possono essere jazz, noise, trip-hop, anche rock volendo, rumoriste, minimaliste o massimaliste, ma cosa importano questi nomi? Stiamo esplorando qualcosa di sconosciuto.
Autentico monumento (a cosa non so dirlo), questo triplo disco rappresenta la prima, indelebile cicatrice lasciata dai Supersilent sulla cultura musicale moderna. A chi è intrigato dalla cosa, ma magari non ha un buon stomaco, consiglio di partire dall'ottimo "6" (probabilmente il loro miglior disco), ma per i coraggiosi si può anche partire da qui. Occhio, è una guerra sporca. E ne vale la pena.
Elenco e tracce
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