Il disco in oggetto è un pretesto per scrivere qualcosa, ora, su di un musicista che ho apprezzato moltissimo, che mi ha dato molto e che è stato un piacere ed una soddisfazione studiare un poco per carpirne lo stile pianistico, beandomi delle sue intuizioni migliori e in generale del suo white jazz rhythm&blues asciutto e brillante.

Una persona che adesso rimpiango con dispiacere visto che lui, Rick Davies, il pianista dei Supertramp, è venuto a mancare qualche giorno fa, il 6 di settembre, alfine sconfitto dopo una decina d’anni di lotta contro una spietata forma di cancro al midollo spinale. Aveva 81 anni.

Se n’è andato mentre era ricoverato in una clinica di Long Island, vicino New York, dove aveva casa da tanti anni. Lui in America non ci ha fatto solo il Breakfast… ma anche il lunch e il dinner quindi, un po’ come tutti gli altri suoi compagni nei Supertramp che, dispersi in vari stati della Confederazione, sono tutti rimasti in quel paese, mollando la fascinosa ma grigia Gran Bretagna (discorso che non vale per il batterista del gruppo, californiano di nascita).

Le inclinazioni musicali di Rick si erano manifestate in tenerissima età ed aveva cominciato con la batteria e subito dopo il basso. L’apprendistato con questi strumenti ritmici gli è venuto utile più in là, quando occorreva arrangiare di fino, e col giusto swing, anche la sezione portante dei gioiellini melodico/armonici firmati Supertramp.

Come tanti musici britannici nati in quel periodo ancora di guerra (Rick era del ’44, come Jimmy Page, Jeff Beck, Nick Mason, Keith Emerson…), era rimasto folgorato dalla musica jazz e blues dei maestri neri americani, arrivata con forza assieme alle truppe alleate di liberazione. Ma subito, come tutti, era rimasto ulteriormente scioccato e conquistato da quello che i Beatles stavano riuscendo a combinare, elaborando il rock’n’roll americano ed infilandoci di tutto e di più, dallo skiffle al music hall, dal barocco al folk celtico, dalla psichedelia all’Oriente.

Crescendo, aveva aggiunto pianoforte, organo ed armonica alle sue competenze, e solo per ultimo anche il canto solista. Infatti nel disco omonimo d’esordio dei Supertramp, una cosa piuttosto progressive datata 1970 (e che quindi pone questo gruppo agli albori di quel genere, non certo in una “seconda generazione”) la voce solista in quasi tutti i pezzi è quella del socio Roger Hodgson, con Rick che si limita quasi esclusivamente ai cori. Nel successivo “Indelebily Stamped”. uscito solamente un anno dopo. la situazione si ribalta inauditamente: compone e canta quasi tutto Davies ed il genere musicale scivola verso un rhythm&blues bianco un po’ così, senza molte speranze.

Incredibile quel che succede tre anni dopo: i due compositori rifondano la band tornando sul mercato con un terzo album “simmetrico” (quattro pezzi per uno, alternati, voci soliste equamente divise) e di perfetto crossover fra progressive, pop, jazz, blues, folk: cosmicamente più consistente e peculiare, in tutto, rispetto ai primi due lavori.

Dal 1974 al 1982 escono cinque dischi di grande successo, il quarto di essi grandioso, perfetto, epocale e irraggiungibile. Poi Hodgson se ne va, il gruppo si compatta intorno al solo Davies ed all’inizio tiene botta, con un primo album in quartetto che sostanzialmente funziona. L’ispirazione però scende, e malamente, subito dopo e il resto della carriera dei Supertramp è moscia e a singhiozzo. Finché Davies come detto si ammala, ed allora game over per loro.

Il pianoforte di Rick Davies era scintillante e riconoscibile, agile e guizzante senza essere virtuoso. Aveva mutuato dal collega Hodgson quella tendenza vagamente beatlesiana (lato McCartney) a pestare gli accordi in cadenza di ottavi, un vero marchio di fabbrica per il repertorio Supertramp, ma i due musicisti erano profondamente diversi e solo quello stile di accompagnamento al pianoforte li avvicinava un poco. Hodgson non aveva per niente nelle sue corde il jazz, il soul, Ray Charles e simili come il collega, propendendo invece per il folk, il progressive, il mistico, il supplichevole. Il terragno e più godereccio Rick gli faceva da perfetto contraltare, permettendo che all’interno degli album del loro gruppo si attuasse una continua e fruttifera oscillazione fra tristezza e positività, Britannia profonda e Stati Uniti afroamericani, introspezione ed ironia.

La voce di Davies era un baritono pieno, sobrio e affidabile, con una curiosa propensione al falsetto goliardico. Era lui ad imitare i falsettari per antonomasia Bee Gees, non certo Hodgson dotato di un timbro super tenorile che non abbisognava di falsetto, perché ci arrivava in piena voce a quelle note da contralto. Era soprattutto lo stile vocale a diversificare al massimo i due Dioscuri dei Supertramp; non solo il timbro, anche il modo di infilare il canto nella progressione di accordi: Hodgson più “classico”, rispettando il battere del ritmo, Davies più rock blues, entrando sovente nel levare, con frasi più concise e ritmiche.

Ah si, questo disco: ben strana la sua genesi! Davies s’era fatto registrare dal fonico di sala, pare addirittura su delle cassette, una serie di concerti della tournée del 1988, direttamente da un’uscita ausiliaria stereo del banco di regia. Intendeva farne un uso casalingo, per verificare la resa dal vivo del gruppo e trarne ispirazione e spunti di miglioramento. Ma restò tanto impressionato dalla carica e dalla spinta di quelle esibizioni, da chiedere ed ottenere dalla casa discografica la pubblicazione di quest’album con gli estratti migliori di quel giro di concerti.

Il disco è perciò schietto, rozzo, lo-fi, senza correzioni data la limitata possibilità di ottimizzazione che può offrire una semplice sorgente stereo, quindi pressoché inamovibile a livello di volumi, missaggi, timbri, correzione errori. Oggi non sarebbe più così… ma nel 1988 non c’era ancora l’Intelligenza Artificiale ad estrarre le performance dei singoli musicisti da una registrazione collettiva.

Mah! Resta un lavoro ampiamente soprassedibile. Davies ci avrà sentito a suo tempo della magia ma io non la raccolgo, sinceramente: i Supertramp avevano tantissime virtù, ma non quella di essere… Super anche dal vivo. Troppo stratificata la loro musica, studiatissima e rimasticata, per dare del valore aggiunto su di un palco.

Il repertorio si concentra sulle composizioni di Rick, ma un paio di super-hit firmate dal suo ex compagno Hodgson sono presenti (le più… logiche: “The Logical Song” e “Breakfast in America”). La cosa fece incazzare il buon Roger, perché al tempo della sua uscita dalla band ci si era accordati che ciascuno, nel proseguo delle rispettive carriere, avesse mantenuto le sue composizioni ed evitato di sconfinare nel repertorio dell’altro. Cosa in effetti applicata da Hodgson, ma non dai Supertramp che per attirare un po’ di attenzione aggiuntiva pensarono bene di sgarrare da quei patti. I due pezzi a firma di Hodgson vengono cantati dal chitarrista Mark Hart (poi nei Crowded House), ma non c’è trippa per gatti… la voce e il talento di Roger non sono replicabili.

Grazie di tutto anche a te Rick, di cuore! I miei eroi musicali di gioventù se ne stanno pian piano andando, ad uno ad uno, ed anch’io non mi sento tanto bene. Ma finché campano ancora vecchi straviziosi come Pete Townshend e Keith Richard, c’è speranza per tutti.

Elenco e tracce

01   You Started Laughing (01:39)

02   It's Alright (05:22)

03   Not the Moment (04:33)

04   Bloody Well Right (06:10)

05   Breakfast in America (02:50)

06   From Now On (07:33)

07   Free as a Bird (04:30)

08   Oh Darling (03:40)

09   Just Another Nervous Wreck (04:26)

10   The Logical Song (03:58)

11   I'm Your Hoochie Coochie Man (04:22)

12   Don't You Lie to Me (02:37)

13   Crime of the Century (06:32)

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