Me lo registrò su cassetta una mia compagna di liceo, con tanto di dedica: "Smack, Simo", cassetta a cui sono ancora molto affezionato. L'intro di School sul vinile originale era rigata e produceva cinque o sei "stock" mentre sotto l'armonica apriva lo show. L'assenza degli stock su mp3 ancora oggi mi sa di qualcosa che non torna. La stessa sensazione di smarrimento provata con l'incipit di Crazy diamond, gli stock lì non si contano proprio.
Comunque, "Bonsuar Parì e benvenù a la suaré de Supertrem". Oh, intendiamoci, non sono nulla di trascendentale questi tizi, di cui pensavo che Hodgson fosse il bassista, per poi scoprire che invece non lo era, ma sul primo o secondo disco giuro c'era scritto Roger Hodgson bass guitar. Hodgson, come cantante intendo, mi è sempre piaciuto più di Davies, con quella vocetta da scarto dei Bi Gis tipo who I am, who I am, who I aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaammmmmmmmmmortacci tua quanto vai in alto.
Venendo al disco in questione, un bel live, per chi non li conoscesse affatto è una buona occasione per abbracciarne tutta la migliore produzione, visto che di lì a poco le due menti del gruppo si sarebbero divise. Io modestamente credo che, a parte le canzoni più note, tipo la citata colazione, la canzone logica, quelle insomma che tutte le radio revival passano, la musica di questi signori andrebbe considerata dal pubblico di questa comunità musicofila, specie i più giovincelli, perché sono, è vero, canzoncine, spesso melense e melliflue, ma hanno in sé tutte il comune denominatore della raffinatezza e dell'intelligenza: raffinati sono i testi, raffinate le melodie, raffinati la scelta e l'uso delle strumentazioni, così come intelligenti ed equilibrati sono i quattro (o cinque, sei?) nel mettere tutto insieme nello shaker e farne uscire un cocktail che non sbava mai.
Il risultato sono vere e proprie perle: Hide in your shell, a mio modo di vedere uno dei vertici assoluti della loro produzione, la coda straordinaria di From now on, la dolcezza spensierata di You started laughing, la sussurrata Two of us, la scanzonata Dreamer, l'avveniristica Fool's overture, la malinconica Take the long way home.
Dal vivo, a differenza di altri (e più celebrati) gruppi, i nostri tirano fuori il meglio. Le loro incisioni in studio sanno a volta di polveroso, di stantio, spesso di stucchevole, come una casa di bambole, mentre all'aperto (sarà l'aria magica di Parigi) le canzoni respirano, si schiudono, si dilatano, riempiono lo spazio, prendono forma e materia. E il paradosso è che la perfezione stilistica dei musicisti è tale che tolti i boati del pubblico crederesti sia una registrazione in studio.
Chissà perché certi gruppi, pur meritevoli dal punto di vista artistico, dopo anni non se li fila più nessuno. Semplicemente scompaiono. Forse perché questi tizi in tutta la loro carriera non hanno fatto altro che produrre con estrema perizia e cura semplici canzoni. Canzoni facili all'ascolto, troppo facili forse. Qualcuno diceva che se il poeta fa fatica, non faticherà il lettore. Credo che il detto si adegui perfettamente a Davies e compari.
Buon 2008 a tutti.
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