Sono di nuovo tra noi. Con un disco che ha richiesto trenta anni per essere concepito. Un disco che è il culmine di ogni precedente album degli Swans, di Gira solista, di tutto ciò che egli ha potuto immaginare.

Un disco che può permettersi di partire con Mimi Parker e Sparhawk accoliti di Selene a cantare una danza rituale, la nostra breve sosta all'Albero dei Sogni prima di varcare le soglie dell'Ade. Un disco che è catarsi, e perdizione; e Mother of the World, incredibilmente nata da sei innocue corde acustiche, si, sarà la vostra marcia della rinascita, ma vi marcerà sopra. Le campane suonano per voi, e suonano a morto e a battesimo allo stesso tempo. Ridotti in pezzettini piccoli, quello che vi aspetta poi è la title-track. Anzi, più che altro vi aspetta un salutare tratto di oceano a nuoto, nemmeno così piccolo. E mi sembra inutile precisare che su quelle acque non splenderà il sole, non sarà gentile il vento, le onde non saranno piccole e le correnti no, non saranno innocue. E se poi arriverete alla fine del viaggio, sperimenterete The Seer Returns, che non è altro che lo stato d'animo di Gordon Pym nell'ultimo capitolo del libro, imbottigliato.

Una formazione che ha poco da invidiare a quella che registrò Swans Are Dead, e se sto esagerando è solo perchè Jarboe non è membro fisso. E allora evviva le future versioni live di pezzi come "Avatar", vera valanga di emozioni, vero pezzo spaccarotule, vero capolavoro, con finale da nocche bianche.

E quando sentirete la pioggia diventare rumore, sappiate che state per cadere nel cielo, in una folle ascensione verso l'eterno. Poi, caduti in cima, appesi al cielo per il colletto, capirete che tutto è uno e tutto è Gira. Perchè così in alto non c'è altri che lui ad introdurvi a "The Apostate", i ventitrè minuti più solidi, coesi, macignici che possiate immaginare, e tutti sulla cappoccia. Ad oggi, Gira ha postificato il post, e senza ironia. Ponendo le basi per qualcosa. Il problema sarà vedere se qualcun'altro riuscirà a volare così in alto.

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