Edgar Froese e compagnia … cantante.

Dopo aver inaugurato la loro “terza fase” con l’ottimo Hyperborea del 1983, vero e proprio album spartiacque,  i Tangerine Dream attraversano il resto degli anni Ottanta con più o meno interessanti colonne sonore ed album perlopiù opachi.

I continui, e per certi versi imbarazzanti, avvicendamenti nella formazione (tra i tanti, l’abbandono dell’ottimo Johannes Schmoelling, determinante in Hyperborea ma anche nel precedente White Eagle) e una perduta lucidità compositiva (e d’intenti) determinano una triste parabola discendente in termini di consensi e, non meno importante, di incassi.

Tra i tanti, Tyger del 1987 è confuso, a tratti noioso e sconclusionato. E’ il conto, salatissimo, da pagare per aver abbandonato le derive cosmiche e gli audaci (seppur non sempre soddisfacenti) sperimentalismi di fine anni Settanta: se “Tyger” non riesce ad avere il tanto desiderato mordente radiofonico, nonostante il motivetto semi accattivante, la fuga strumentale del finale di “London” non eguaglia nemmeno la stessa intensità di una “Thru Metamorphic Rocks” d’annata.

Prima di chiudere con l’imbarazzante “Smile”, il brano che cerca di risollevare le sorti è una gradevole “Alchemy of the Heart”, che parte in maniera egregia ma cade rovinosamente nel finale.

Se da un lato i testi di William Blake, che permeano l’album, avrebbero certamente meritato un riguardo maggiore, dall’altro l'impegno canoro della nuova arrivata Jocelyn Smith rende il disco insolito, e dunque degno di menzione, all’interno della discografia dei Nostri: si tratta infatti, dopo decenni di carriera, del loro secondo disco a contenere parti vocali.

Questo piccolo particolare alza l’asticella di apprezzamento e strappa dunque la sufficienza. Da ascoltare, solo se la vostra curiosità è a prova di sbadigli.

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