Dietro la capacità dialettica ed il bel vestito si nasconde l'essere più infimo del sistema statunitense: l'avvocato. Arrivista, assetato di fama e di successo, bugiardo e retorico quanto basta, senza sensi di colpa evidenti, il losco penalista difende ad ogni costo il colpevole.

Non sto parlando di "Bugiardo Bugiardo" divertente commedia forense colorata dall'abilità di Jim Carrey, ma de "L'avvocato del diavolo", film del 1997 sceneggiato da Tony Gilroy e diretto da Taylor Hackford; il duo punta ferocemente a minare la figura in questione fino a "pareggiarla" al diavolo. Inizialmente tentano l'approccio provinciale, dove anche il piccolo ed ambizioso avvocatello (Reeves) che non ne vuole sapere di perdere fa i suoi danni, difendendo con presunta avida abilità il più evidente dei colpevoli, seppur la colpevolezza dell‘imputato sia un dato evidente. E poi si festeggia tra giri di alcool ed ebbrezza per la vittoria ottenuta a tutti i costi, quindi gli si presenta la grande occasione. In quella che si può definire "la capitale del mondo", la sporca, corrotta, e surreale NewYork si determina per il piccolo vincente avvocato l'opportunità di difendere figuri che fanno "rima" con azioni criminali inenarrabili. Nel piano più alto di un grattacielo, tra un giardino di acqua ed uno studio scarno e dai profili gotici, troneggia la figura diabolica di Milton (Al Pacino) che predica umiltà (nessuno si accorge che passo) ma sostiene di avere in pugno il pianeta. E' una figura dall'apparente potere assoluto, indispensabile a tutti gli uomini che lottano per l'appagamento personale o la professione di oscure e distanziali ritualità perverse.

E in un fiume di soldi e surreali prospettive, lo storditissimo avvocato si butta nel lavoro lasciando a se stessa la mogliettina che ha enormi difficoltà di ambientamento e si dispera con il colore del nuovo gigantesco e lussuoso appartamento. Il rapporto della coppia si raffredda e la bella Charlize Theron cade in depressione, e non è ben chiaro quanto contribuisca l'influenza del nefasto Milton al compimento dell'atto estremo e disperato della povera donna. E poi, in contrapposizione al sapiente maestro, seduttore e manipolatore di anime, c'è la timorosa e timorata madre di Keanu Reeves che irrompe a New York per dare la lezioncina moralizzante al figlio a cui ha sempre nascosto la verità sul padre.

Angosciante ed oscuro, drammatico ed erotico, perverso e caotico, il film dura più di due ore e dispensa la classe del grande Pacino, che sa vestire i panni del demonio con maestria. Reeves è un agnellino sperduto, la Theron una bambolina senza capo né coda.

Inquietanti i discorsi del demonio/Pacino sull'azione di Dio, che resta a guardare divertendosi alle spalle del confuso uomo dettando regole in contrasto tra loro "guarda, ma non toccare, tocca ma non gustare, gusta ma non inghiottire" mentre il diavolo è con "la faccia conficcata nel mondo dall'inizio dei tempi". Esaltante, alla festa, la divagazione dello stesso sul collo della sensuale Theron: mentre le regge i capelli pronuncia "il collo di una donna è il confine tra la mente ed il corpo, ha tutta l'aria di una città di confine, è l'avamposto della sua mistica" come argomentare meglio?

Fotografia eccellente, che dipinge una New York minacciosa ed oscura, tronfia e malvagia, desolata e formicolante. Un'ambientazione feroce che la fa apparire occhio del mondo e serbatoio di malvagi e perversi meccanismi malcelati.

Finale inquietante, che preferisco non svelare, ma che ricalca le tesi del regista e dello sceneggiatore in una sorta di sagra di citazionismo biblico fatta di luoghi comuni un po' poverelli, in un quadro tristarello dove la lezioncina, anche se compresa, non si impara mai.

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