Ormai anche i fans più sfegatati di Jamie Stewart (e io sono un caso clinico irrecuperabile) hanno perso il conto dei progetti, degli split e delle nuove band che questo strano e geniale ragazzotto con il volto da gattino dissemina nel corso della sua carriera. Così, quando si stacca dai suoi Xiu Xiu, ogni tanto fonda nuove band, le abbandona, se ne va a spasso con i Former Ghosts di Freddy Ruppert e Zola Jesus, o con i Larsen, fa comparsate casuali in album di altre band (tra cui gli Horse The Band), pubblica canzoni noise incomprensibili, fa uscire un fantomatico e misterioso disco solista inciso a 12 anni e per anni seppellito nella catasta di traumi, polvere e depressioni.
Persino io, così affascinato dalla sua straripante originalità e creatività artistica, i suoi temi, il suo essere un dodicenne nel corpo di un adulto, la sua capacità di osare, di gettarsi a capofitto dove altri non oserebbero nemmeno addentrarsi con un dito, la sua personalissima e disperatissima idea di musica, rimango, a volte, all'oscuro di quello che fa, di cosa fa, di cosa pensa. E solo oggi sono venuto a conoscenza dei Teen Plaque.
Così, per puro caso. Un trio schizofrenico di punk nudo e crudo, dove il piccolo Jamie (voce e basso) si lascia accompagnare da Tim The Mute (Voce e chitarra) degli Shiny Diamonds e dal lottatore di wrestling messicano (!!!!!) El Searlo, alla batteria.
Un solo disco pubblicato dalla formazione, che in realtà è un ep che dura quanto una canzone dei Ramones: "Teen Plaque Text Message/Fuck The Revolution!!!".
Due tracce che, nella loro esigua durata, scatenano un punk secco e cruidissimo, casinista, rumorisissimo, terribilmente anarchico, come il genere dovrebbe essere.
Jamie sbraita come un dannato, mentre i suoi compagni di merende tessono, sotto di lui, un rumoroso amplesso di suoni acerbi e violentissimi. Ed è pogo, ed è sangue, e sono sputi per terra.
Sono tre amici che si ritrovano nel garage e iniziano ad urlare "Andiamo tutti affanculo!", uno sfogo che ha la potenza di un pugno dritto nell'occhio. Perché questo ep non vuole essere musica seria, ma prima di tutto uno sfogo esasperato, un tentativo di tornare a quei tempi in cui, da ragazzino, formavi una band per esprimerti, per distinguerti, per divertirti e disfarti. E non te ne fregava se i tuoi pezzi non sarebbero piaciuti alla gente, perché erano quello che eri. Quello che saresti stato.
Ecco perché questo ep è così affascinante: è un urlo che esplode e si esaurisce, e poi ricomincia, e poi si disintegra. Un castello di rabbia che si crea quando torni a casa dal lavoro stanco e incazzato con il mondo, abbracci una chitarra e inizi a urlare sguaiatamente per tre minuti, poi sistemi tutto e vai a cenare.
Perché anche in questa musica così grezza e violenta senza un perché, Stewart è riuscito a mettere, di nuovo, in scena il malessere umano. Un taglio netto in un cielo limpido, una bomba che esplode in un giardino fiorito. è breve, è fulmineo e, anche se tutto tornerà come prima, è esistito.
Questo è il bello della musica.
Anche quando è estremamente ignorante, per un po', resta con te. E ti bacia, sussurrandoti "Ti aiuterò a sopravvivere."
Carico i commenti... con calma