Probabilmente la musica dei Tenhi suona così Oltre poiché gli stessi Tenhi sono Oltre.

Aiuta sicuramente il fatto che i Tenhi provengano dalla remota Finlandia: quando si parla di neofolk, del resto, espressioni come “ancestrale” e “fuori dal tempo” sono quelle più abusate, ma nel caso dei Tenhi i legami con il mondo conosciuto si fanno per davvero sottili (se non per quel senso di Universalità che la loro musica si porta dentro) e l'unico paragone che può venire in mente, nonostante le innegabili differenze, è quello con un'altra band germinata in una terra altrettanto suggestiva ed isolata dal resto del mondo conosciuto. Quella terra è l'Islanda e il nome di quella band è Sigur Ros: un legame che si riscontra nel radicamento nei paesaggi indescrivibili di una natura maestosa e conturbante, un legame rinsaldato dal rigoroso impiego, come accade nei Sigur Ros, della lingua madre, questa volta quella finlandese.

Le immagini sono quindi quelle della tundra desolata, del fiordo silenzioso, della notte eterna schiarita dall'aurora boreale, dell'imponente picco innevato, del placido lago ghiacciato, custode di segreti senza tempo, inavvicinabili agli occhi dei mortali: segreti che si tingono di mitologia, di sacralità, di riti pagani ed antiche credenze. Ma non si creda che i settanta minuti che compongono “Saivo” siano l'ennesima carrellata di fotogrammi soporiferi che potremmo facilmente aspettarci da un'ambientazione di questo tipo. La musica dei Tenhi è solida, meglio: profonda. Meglio ancora: piena, corposa, sostanziosa, continuamente mutevole ed al contempo saldamente coerente con se stessa, sia che il folk dei Nostri sia semplicemente evocativo, sia che s'impenni in evoluzioni marcatamente progressive (si vedano i contro-tempi delle ritmiche, il tocco jazzato del pianoforte, il brillante pizzicato delle chitarre), o si ammanti dello spleen decadente della dark-wave di ottantiana memoria (lo spossante recitato, l'effetto panico di certe stratificazioni sonore che rasentano la psichedelia più nera), o si stemperino in un ambient catacombale, pregno di quelle iniezioni di elettronica minimale che non scardina certo l'impostazione irrimediabilmente acustica dell'opera.

“Saivo” è la sospirata ultima fatica discografica di queste creature della notte, licenziata ben cinque anni dopo quel “Maaaaet” che aveva costituito il capitolo secondo di una trilogia principiata quasi contemporaneamente con “Airut: Aamujen”, e completata oggi, sulla lunga distanza, con questo lavoro che vede la luce nello scorcio finale del 2011. E poco importa se nel frattempo si è perso per la strada Illka Salminen, pilastro fondamentale e co-fondatore della band. I due supersititi Tiko Saarikko e Ilmari Issakainen riescono nell'impresa di sopravvivere come duo, da trio compatto ed indissolubile che erano, ed allestire, fra le viole, i violoncelli, i flauti, i cori di un emsemble da camera miracolosamente messo insieme, un lavoro a dir poco eccellente, ottimamente orchestrato, curato nel minimo dettaglio, dai suoni splendidi, dalla profondità inaudita e che, rispetto ai suoi predecessori, preferisce mettere da parte gli slanci più vitali per indugiare, senza tediare, su atmosfere intime ed evocative, ma anche eroiche, epiche, a tratti marziali, che richiamano ad ogni loro passo quella dimensione d'Oltretomba, quegli umori da trapasso, quelle atmosfere da requiem immortale che il concept intende trattare, che la copertina ritrae e che lo stesso titolo anticipa (“Saivo”, nella mitologia Sèmi, è “il mondo dove la Morte vive”).

E “Saivo” è delle opere dei Tenhi quella più metafisica, più impalpabile, più slegata dalle contaminazioni moderniste che comunque si intrecciano impercettibili nel mantra sonoro allestito da questa band che non sembra avere confini: una scalata che s'inerpica sempre più in alto, verso il soprannaturale; una discesa che scava il proprio sentiero sempre più a fondo, nella dimensione oscura e sconosciuta della natura umana, attraverso la rivisitazione di tradizioni, credenze e miti antichissimi. Senza confini, si diceva, perché la cultura musicale dei Nostri, seppur asservita ai loro rigorosi intenti, è vasta, tanto che si rintracciano, fra i solchi di queste sofferte note, nelle maestose escursioni paesaggistiche, negli arpeggi desolanti che si pendono nella nebbia di una notte di cui si disconosce l'origine, nei solenni cori odinici richiamanti culture antichissime, prossime al Divino, i richiami all'arte nera del Quorton dei Bathory, “sindaco onorario della Scandinavia”, evocazione per niente fuori luogo dato che i Nostri non hanno mai fatto mistero di ascoltare ed amare pure l'heavy metal.

Florian Fricke meets Quorton, potremmo quindi dire, e non a caso il pianoforte cristallino, il suo languore misticheggiante, nella introduttiva “Saivon Kimallus” materializza niente meno che i Popol Vuh di “Hosianna Mantra”, subito affossati, però, dallo sfiancante sibilo di Tyko Saarikko che riconduce il tutto, attraverso la sua moribonda raucedine, entro i confini del più teso neofolk dei nostri tempi (vengono in mente gli Orplid, i Sonne Hagal, i Forseti, i Darkwood, protagonisti della recente ondata folk di marca teutonica, anch'essi cultori e divulgatori di una tradizione persa nei secoli della storia dell'uomo). Ma ecco che i dinamismi della batteria della splendida “Pojan Kiiski” spiazzano ancora una volta l'ascoltatore, consegnandoci una band che non intende fermarsi al folk bucolico e naturalistico delle band appena menzionate: un viaggio che sa alternare, senza annoiare, suggestioni diverse, un'ardua escursione nelle gelide lande dell'aspro Nord che vede nelle animate “Haaksi” e “Savoie” le tappe più coinvolgenti, interludio indispensabile alle lugubri e silenti evocazioni di fantasmi che qui si sprecano, fino alla conclusione da brividi dell'infinita “Siniset Runot”, incredibile, nella sua poesia, nelle stasi ambientali come nelle struggenti ripartenze dal vago sentore post-rock (ma un post-rock da camera, che niente ha da spartire con le sue più tipiche incarnazioni indie).

Insomma, musica della tundra come – e qui la dico grossa – quella dei Kyuss è del deserto: immensa l'ispirazione e lo scambio emotivo fra artisti e contesto. Ma basta con le parole, non riesco mai a farne a meno anche quando proprio non ce n'è bisogno: basti aggiungere/concludere che “Saivo” è l'ennesimo gioiello dato alla luce (dalle tenebre) da un ensemble che non solo è in grado, nonostante i quindici anni di attività, i vari album pubblicati e le rivoluzioni che ne hanno sconvolto la line-up, di mantenersi saldo su altissimi livelli, ma che continua a stupire, anche in questa occasione, per la vivida bellezza della musica che sa mettere in scena.

Imperdibili. Oltre. Innegabilmente Oltre.

Elenco tracce e video

01   Saivon Kimallus (03:40)

02   Pojan Kiiski (06:46)

03   Uloin (08:08)

04   Pienet Purot (04:18)

05   Sateen Soutu (03:06)

06   Haaksi (09:14)

07   Surunuotta (05:43)

08   Savoie (03:02)

09   Vuoksi (06:08)

10   Paluu Joelle (05:02)

11   Sees (04:26)

12   Siniset Runot (10:30)

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