Un musicista atipico, Terje Rypdal.

Norvegese, da anni una delle figure di spicco dell'etichetta ECM, ne ha seguito l'estetica ed i canoni in modo originale, sposando un sound chitarristico "duro" con ambienti sonori ovattati, estatici, classicheggianti. Il gusto di accostare la chitarra elettrica al pianoforte acustico, o a un quartetto d'archi; una lunga serie di dischi che descrivono un percorso musicale molto eterogeneo, dalle formazioni di impronta rock all'esecuzione di vere e proprie sinfonie orchestrali. Un percorso non sempre pienamente a fuoco, a causa appunto di influenze molteplici e musicalmente così distanti tra loro.

"Vossabrygg" rappresenta forse un punto di svolta nella carriera del chitarrista, che se da un lato torna a un sound che aveva caratterizzato i suoi primi lavori, dall'altro, giunge ad una riuscita sintesi dei mondi musicali che ha espresso nella sua lunga carriera. Il disco è una registrazione di un concerto dal vivo tenutosi al festival di Vossa, con Rypdal in compagnia dei suoi collaboratori più stretti e più di lunga data: Palle Mikkelborg alla tromba, i tastieristi Bugge Wesseltoft e Stale Storlokken, il fidato bassista Bjorn Kjellemyr e i batteristi Jon Christensen e Paolo Vinaccia.

Il brano d'apertura ci mostra subito in quali lande intende scorrazzare Terje Rypdal: siamo nel periodo elettrico davisiano, fine anni '60 / inizio anni '70. "Ghostdancing" appare come una variazione sul tema di "Pharaoh's Dance", presente in "Bitches Brew", con la coppia di tastieristi intenta a tessere un tappeto sonoro brumoso e magmatico, rischiarato dalle celebri "lame di luce" chitarristiche del leader. Poi entra in scena il trombettista Palle Mikkelborg, uno dei più fedeli discepoli di Miles Davis, e il quadro è completo... Ma Rypdal non ha voluto confezionare solamente un'opera derivativa. Egli, durante la durata del lungo concerto, esplora differenti situazioni sonore, fa trapelare la sua "nordicità", unita all'amore per il rock più viscerale a alla psichedelia, espone temi a volte estatici a volte tirati e nervosi.

C'è spazio anche per l'hip-hop, con una serie di giradischi, campionatori e altri aggeggi elettronici manovrati dal figlio Marius. Curiosamente, proprio in questi momenti da "giungla urbana" i solisti tirano fuori i loro interventi più felici, con Rypdal lucidissimo, a esporre una notevole padronanza dello strumento, alternando vertiginosi fraseggi jazzistici a un uso felicemente rock del distorsore e della pedaliera. La tromba effettata di Mikkelborg è sempre efficace, e l'improvvisazione a due in brani come "Incognito Traveller" non lascia scampo.

Il parco tastiere (fender, organo elettrico) rafforza ulteriormente l'atmosfera "seventies", anche se non vengono disdegnati i più attuali synth nei brani di atmosfera ("Makes You Wonder", "That's More Like It"). Il "botta e risposta" tra i due tastieristi è godibilissimo, tutti suonano in maniera eccellente e non c'è mai un attimo di stanca.

In definitiva un ottimo disco, interessante, coinvolgente e divertente, che potrà incuriosire anche un pubblico di non stretta osservanza jazzistica, che rischia di girare molto a lungo nel vostro lettore CD, e perché no, anche nel vostro lettore MP3.

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