Pur conscio delle grandi, varie e piuttosto aspre critiche già in corso da prima dell'uscita ufficiale del film ("merito" delle anteprime, che personalmente, francamente abolirei senza pensarci), da malickiano della prima ora, come mi piace definirmi (e che rivendico tuttora con orgoglio di essere) aspettavo ugualmente con notevoli aspettative quest'ultimo parto del regista-autore americano.

C'è chi ha parlato di involontaria autoparodia, e purtroppo, per la prima volta mi ritengo anche obiettivamente in difficoltà nel contrastare quei pareri negativi che, a dire il vero, con Malick, ormai da diversi anni (nello specifico dopo il "caso" The Tree of Life...) sono quasi moda e, spesso, corredati da accanimenti ingenerosi e fuori luogo vero un cineasta che, come già avevo avuto modo di definire parlando di Days of Heaven, è tra i pochi che possono essere inseriti tra i maggiori artisti e visionari della propria epoca.

Di certo, però, l'essere anche vario nel tipo di film che produce non è qualcosa che gli interessa. Infatti Song to Song è l'ennesimo lavoro girato con lo stile ormai diventato paradigmatico del regista originario dell'Ilinois. La solita solfa si potrebbe dire, insomma. Ma se questo manierismo (qui davvero più estremo del solito, però) ovviamente era ampiamente previsto, a pesare di più è per la (mia) prima volta una certa e palese vacuità (e non vale certo come scusa il fatto di svolgere la vicenda nell'ambiente, a sua volta vacuo, del music business in una splendida Austin, piuttosto che nel mondo hollywoodiano di Knight of Cups) nell'affrontare quelle riflessioni intime esistenziali, insieme essenziali ed universali (si parla, ovviamente, come sempre, di amore, sesso, anima, rapporti famigliari, identità... e, ancora come sempre, non c'è una trama , o un genere a regolarli, ma solo le meditazioni fuori campo dei protagonisti, pochissimo spazio lasciato ai dialoghi tradizionali) che hanno reso davvero uniche e memorabili le opere precedenti.

Se, infatti, la cifra estetica dello straordinario duo Malick/Lubezki continua ad affascinare ed offre sempre, anche nella sua ripetitività, momenti di gioia per gli occhi ed i sensi, a farsi strada è il pensiero che davvero il primo stia esaurendo le cose da dire. O, meglio, non riesca più a parlarne in modo interessante, profondo ed originale. E così, anche l'aspetto aureo, etereo delle immagini ne esce indebolito e la magia della visione notevolmente sprecata, per non dire ridimensionata.

Rispetto al precedente (senza quindi tener conto del documentario Voyage of Time, che non ho purtroppo, ancora, avuto modo di vedere) Knight of Cups, che a mio parere era invece l'opera più ardita e definitiva della poetica malickiana di questo suo primo decennio da cineasta prolifico, Song to Song (film appena più commerciabile, tra l'altro) non può che risultare come il fratellino sfigato (considerato anche che i due film sono stati girati praticamente in contemporanea, con tematiche quantomai simili e condividendo anche alcuni attori).

A salvare parzialmente l'interesse senz'altro i piccoli cameo di grandi icone della musica rock del '900 come John Lydon, Iggy Pop, Patti Smith (altri, più recenti - Arcade Fire -, ne sono stati tagliati), quest'ultima in particolare lascia il segno parlando brevemente dell'amore nei confronti del marito Fred Sonic Smith e della sua perdita; la presenza di una Natalie Portman sexy come poche altre volte (il personaggio di Gosling, invece, è praticamente il cugino di quello di La Lala Land... dimenticabile Fassbender, quasi nulla Cate Blanchett, il più interessante sicuramente quello di Rooney Mara, che tenta disperatamente di "afferrare la vita" a qualunque costo); qualche momento qua e là... Ma, cosa che non mi capita mai al cinema, non ho resistito alla tentazione di accendere lo smartphone per controllare che ora fosse e quanto mancasse alla fine. Sconsolante risultato: ancora mezz'ora abbondante. Mi dovevo rassegnare.

Non che mi stesso annoiando mortalmente, però insomma...

Assistere ad un film di Malick è, comunque, per me ogni volta una esperienza filmica ed un motivo d'emozione, specialmente in sala. Ed anche se, in questo caso, il risultato non mi ha entusiasmato, credo ne valga sempre la pena.

Diciamo solo che, nella mia personale classifica dei miei film preferiti usciti nel 2016, Knight of Cups è tra i primi posti. to Song to Song, a fine anno, non figurerà proprio.

Di certo chi ha sempre trovato irritanti i precedenti capitoli, detesterà ancora maggiormente questo. Ed io per stavolta non sarò lì a controbattere.

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