1986, la notte di Halloween, Cincinnati. La notte di Halloween. In una cantina buia, in un gay bar fumoso e un po' laido, in una cella della contea a smaltire la sbronza. Leggende, forse, ma poco importa il come, il dove, il quando. Importa sapere che li, a Cincinnati,Ohio ("just another doom town" direbbero i coevi Wipers), sul finire dell'anno 1986, nacquero gli Afghan Whigs, dalle mani di Greg Dulli, Rick McCollum, John Curley e Steve Earle.
Nel 1988 esce, autoprodotto, "Big Top Halloween".
La prima canzone lascia disarmati, "Here Comes Jesus", un Gesù corrotto dalla fanghiglia delle strade, ubriaco e sporco, ondeggia lungo una linea melodica aggressiva e densa. La cifra dell'album è forse questa, un suono potente, rabbioso, ma mai fine a se stesso, preciso, dirompente, perfetto marasma su cui incastonare la voce roca e disgraziata di Greg Dulli. Siamo ancora lontani dal miscuglio soul-grunge degli episodi successivi, ancora siamo su un territorio più, se vogliamo, "facile", ancorato saldamente a una tradizione post-hardcore radicata nella provincia americana di quegli anni. E' come se gli Afghan Whigs in questo esordio, dovessero ancora capirsi, capire il loro incredibile potenziale di innovazione.
Non mi lancerò in un track by track di cui nessuno sente la necessità, ma mi limiterò a sottolineare poche altre canzoni che svettano, stante che la qualità media è comunque altissima. "Priscilla Wedding's Day", ad esempio, con quei due attimi di disarmante vuoto prima dell'annichilente urlo: "And she's standing/on a chair". Potete vederla, questa giovane sposina, desolata, che guarda chiudersi il vuoto della sua vita fra le pieghe sbavate di trucco dei suoi occhi?
"But Listen", una delle canzoni più "mature", rispetto a quella che sarà la traiettoria artistica del gruppo, è una ballata lancinante e avvolgente, con quel suo "babe, babe, babe" che per una volta non suona alle mie orecchie ruffiano, con quella desolata concessione: "You can kiss me on my lips/or you can kiss me on my ass" .
Un nuovo capolavoro è "Life In A Day", molto vicina al suono più caratteristico del gruppo, con la voce di Dulli spezzata che trascina dietro a sé nel baratro la sezione ritmica, una sorta di esperimento di "misura", rispetto a progressioni violente come "Big Top Halloween" o "Scream"; come un avvertimento all'ascoltatore a non prenderli per l'ennesima post-hardcore band, tutto furore e niente lucidità.
"Greek Is Extra", è la sciabolata finale, esplode e squarcia gli ultimi pioli di una scala affacciata sul vuoto.
Intendiamoci: non è un album perfetto, tutt'altro, anzi, per me si colloca molto al di sotto dei tre album successivi (almeno quelli sicuramente, su "Black Love" e 1965 ho qualche dubbio), allo stesso tempo non l'ho trovato quell'album acerbo e immaturo che molti critici descrivono, bensì un concentrato di furia ed espressività che ancora non ha trovato il modo migliore per incanalarsi, ma che riserva comunque dei momenti meravigliosi.
Elenco e tracce
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