"Quanto dista de la vita eterno? Sono il tuo schiavo. Grazie mille. Non la dimenticheremo mia.". Con questo bizzarro italiano maccheronico si chiude "Black Love", quinta opera degli Afghan Whigs. Si tratta di un ibrido a metà strada tra disco classico e concept-album. Nello specifico il leader Greg Dulli (autore unico dell'album) fu inizialmente folgorato dall'idea di scrivere una sceneggiatura per un ipotetico film noir poi mai realizzato. I resti di tale idea sono andati a fornire combustibile per l'ispirazione di queste undici tracce in bilico tra un rock venato di soul e reminescenze del post punk degli esordi, con la chitarra di Rick McCollum che solo raramente macina riff garage ("Honky's Ladder", primo singolo, è forse l'episodio più ancorato al passato). La trama, per quanto approssimativa, parte da un omicidio di un bianco forse commesso da un uomo di colore ("Black Love"?), il quale si dà alla fuga accompagnato dalla donna che ama (bianca) verso un finale amaro e malinconico nel rispetto dei tipici canoni del noir. Non mancano le pistole, i baci, i polizziotti, il sesso, la vendetta, il pentimento ed infine la morte: tutti argomenti che ben si adattano allo spirito cupo, vizioso e contraddittorio del gruppo. "Dove c'è la verità c'è sempre la menzogna" sembrano dire ad esempio nell'iniziale "Crime Scene Part One" che apre il disco in una lenta profusione di organi ed effetti in crescendo, mentre "ogni segreto ha il suo prezzo" da pagare anche con la morte. Un nero manto avvolge ogni brano, nonostante nelle ballate sia presente una luce di speranza come in "Step Into The Light" e soprattutto nella lacerante litania di "Night By Candlelight", resa ancor più ammaliante dalla voce straordinaria di Shawn Smith, sottovalutato e misconosciuto cantante proveniente dalle ceneri della Seattle era grunge (vedi band come Satchel e Brad). Se le nuvole nell'orizzonte sonoro di "Black Love" non si dipanano mai è comunque nel quarto d'ora finale che ogni cosa fin qui detta si sublima. In sequenza "Bulletproof", "Summer's Kiss" e "Faded" colpiscono dritto al cuore e affondano nelle carni senza soluzione di continuità in una lunga suite sul tormento dell'amore. Le chitarre scappano inseguite dai tasti del piano e le grida del cantante sanno di una supplica di aiuto inesaudita. In questo stato di confusione emozionale arriva infine "Faded": non so se è la melodia a cui essere eternamente grati, il suo crescere emotivo dentro chi la ascolta attraverso gli anni e le esperienze o la semplice magia della musica, ma in questi ultimi otto minuti tutto si pacifica, il bene, il male, e rimani congelato in una polaroid con tutto quello che ti porti dietro.

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