"Una stella, anche quella più lucente non brillerà per sempre, però tutte le mani che gioco mi vanno bene: ogni mossa che faccio mi fa sentire vincitore."    

Un raggio di speranza, dicono. Sarà…

“Bene, continuate così, ragazzi. ” Il Sole crea giochi di luce sui rivestimenti delle tubature, lì a Sunderland. “Ma non sentite l’odore dell’unto nello stabilimento?”. Loro no, non lo sentono. Le memorie sono tutto ciò che dividiamo,   tutto ciò che eravamo, tutto ciò che ci è rimasto. “Ingegnere, una perdita. Quest’oleodotto è danneggiato”. Una luce scintillante. L’oro nero. “Oh, Cristo… E adesso?” Non rispondermi, non squarciare il silenzio, non farmi vincere.  “Merda, i giornalisti. ” I flash. Luci scintillanti. “Scatta, scatta, dai… Eccoli con la testa nella terra, come gli struzzi!”. E quelli che in principio vennero per sbeffeggiare,   rimasero indietro e pregarono.    “Andate via, prego, non abbiamo niente da dirvi!”. Nessun raggio di speranza. “Cristo santo!. . . ”. Tutto nero. Unto. “Cos’è questo odore tremendo?” Fatemi andare a casa,   ho avuto una brutta nottata, lasciatemi solo.   “Di là, il serbatoio perde!!” Liquido trasparente, un atomo di azoto e tre di idrogeno. Lo posso vedere nei tuoi occhi che non mi credi. Solo un’altra luce scintillante. Le notti, troppo brevi per dormire o per cadervi profondamente,   sembrano così lontane, adesso.   Ammoniaca.

Nella accecante busta arancio chimico, in cui tutto questo si mescola in un calderone di sensazioni, il nero disco riposa i suoi solchi. Solchi Arista del millenovecentottantaquattro. Solchi per l’ottava volta del Progetto. Viale Ammoniaca, la strada verso un mondo in cui condannato è l’ambiente e non i suoi carnefici. Alan Parsons ed il fido Eric Woolfson parlano di tutto questo, con la classe che contraddistingue ogni loro lavoro. Forse le stelle avevano ragione. Ho avuto una premonizione: verrà  il mio turno questa notte.   Sarà il mio turno questa notte.  L’incipit è dei migliori, “Prime Time” è una stupenda canzone da autostrada, il chitarrone di Ian Bairnson, la calda voce dello stesso Woolfson, la decisa batteria del buon Stuart Elliott. Aspettando finchè il sole non sarà tramontato, le ombre avanzano nella notte: vivendo in una fantasia, dentro e fuori dai sogni, niente è come sembra. “Let Me Go Home”, implora Lenny Zakatek: troppe ombre nella sua giornata. Buona canzone rockeggiante, non un capolavoro, ma davvero incisiva nei suoi riff.  Parte “One Good Reason”, ancora la bella voce di Woolfson per il brano più scanzonato dell’ellepì. Continuo a commettere lo stesso errore. Sto solo partecipando ad un gioco semplice, dammi una buona ragione per la quale dovrei ascoltarti.  Ottimo il giro di basso di David Paton, altra colonna del Progetto. Ma si sa, la ballata è la specialità della casa, e allora “Since The Last Goodbye” scioglie il cuore come burro al Sole, magica la voce di Chris Rainbow (“Ricordati di tutte le foglie che cadevano mentre camminavamo, la mano nella mano, sotto la pioggia. Ricorda le voci, distanti, che chiamavano: erano sussurri nel buio, li posso sentire ancora.").  “Don’t Answer Me” è l’hit, schitarrate in allegria e la star dell’ellepì Eric Woolfons che chiede in un tripudio di sax (il grande Mel Collins) e di battiti-anni-ottanta di essere lasciato in pace. Se credi nel potere della magia,  è tutta una fantasia. Sai, se hai bisogno di credere in qualcuno, stai solo fingendo che si tratti di me.  

Forse non è proprio la mia serata, in fondo. Perché le persone sono sempre le stesse, non cambiano mai. E il gioco si è spinto oltre: nessuna rete più a protezione. Si cammina su di un filo teso. E proprio “Dancing On A High Wire” apre il secondo lato, per un’altra voce storica del progetto, Colin Blunstone: brano molto Parsoniano, dall’incedere lento scandito dalla chitarra: deciso e curato. Se ne andrà per sempre, forse senza rimpianti.   Se proseguiamo insieme, forse non ci sarà proprio niente. Ma cosa fai, non rispondi? Tu non credi, vero? “You Don’t Believe”. I miei occhi vedono ciò che vedi te, dico quello che pensi. Ma te non mi credi, lo posso vedere dai tuoi occhi. A parlare così è ancora Lenny Zakatek per un grande brano: base ritmica essenziale, solide costruzioni di Bairnson e scansione perfetta. L’oleodotto ormai perde, è troppo tardi. Il fluire del petrolio è questa strumentale di grande fascino, la falla il ritmo delle pelli, il sax è il fluido viscoso. “Pipeline”, signori. Avete avuto quello che volevate. E adesso chiudete quelle cazzo di macchine fotografiche.

Mentre nell’oscurità guardiamo il Sole nascere, davvero nessuna luce? Davvero nessuna traccia di vita in quest’acqua che guardiamo stagnane in occhi stranieri? “E chi siamo noi per deridere, per criticare ciò che essi fanno?” Il piano scandisce mille pensieri, la calda voce di Eric Woolfson, ancora lei, descrive inquieta ciò che riflette la sua vista. Caos. Linee melodiche incidenti. Apertura. “Quando non puoi ascoltare la poesia e non puoi capire la ragione, perché dovrebbe rimanere ancora speranza?  Un uomo si stancherà, la sua anima diverrà opaca”. Olio nero. “Vivrà invano la sua vita”. O un viale di ammoniaca potrà salvarlo? “Dall’ultimo addio, abbiamo seguito una strada sbagliata. ” Eppure chi venne per deridere, si ritrovò a pregare. “Nonostante tutti i dubbi, qualcuno di essi sapeva e, pietra su pietra, lo costruirono, alto”. Un raggio di speranza. “Finché il Sole riuscì a rompere le nubi. . . ” Una luce scintillante. Tirate fuori quelle teste dalla sabbia, cazzo. Non la vedete?

“Ammonia Avenue”.

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