Gli studi di registrazione di Abbey Road, si sa, hanno prodotto tanti bei capolavori. I Beatles vi registrarono per primi e i Pink Floyd non vollero essere da meno (tanto per citare alcuni gruppi...). Anche Alan Parson è passato da quelle parti, prima come ingegnere del suono dei Pink FLoyd nel 1973 nel mitico "The Dark Side of the Moon" e poi come musicista.
Proprio in quegli studi, 11 anni dopo i Floyd, registrerà l'album "Culture Vulture".
Con queste premesse, fiducioso, vado alla ricerca dell'album. Lo trovo e tutto curioso lo acquisto. Ascoltandolo però rimango un po' deluso; immaginavo un sound pink-floydiano e invece mi ritrovo immerso nelle tipiche sonorità anni '80. Il tempo di ascoltare il primo brano,"Let's Talk About Me", e la situazione peggiora. Inizia infatti la seconda traccia dell'album, "Separate Lives", che è, a mio parere, l'essenza degli anni '80. Il basso che predomina con il solito giretto insignificante. La batteria elettronica che dà poi il colpo di grazia, fa diventare la canzone asettica, distante, fredda, in poche parole odiosa e inascoltabile.
Deluso mi rassegno a un disco tipico di quegli anni che, secondo me, hanno dato qualitativamente poco alla musica. Il terzo brano, "Day Are Numbers", stranamente esce fuori dal binario segnato dai primi due e si dimostra una bella ballata, ascoltabilissima e coinvolgente. Certo, però, se invece della solita batteria elettronica Alan avesse usato strumenti con meno silicone e più legno non sarebbe stato male, ma non si può avere tutto. La traccia termina e il disco riprende il suo sound originario.
Il brano che dà il nome all'album fa subito ricordare all'ascoltatore che siamo in pieni anni '80 e non si può prescindere dalle influenze culturali e musicali dell'epoca, così ritorna il basso odioso.
Comunque non si può negare che, fatta eccezione di "Separate Lives" e "Vulture Culture", il disco è molto atmosferico e rilassante, se lo si ascolta senza troppe pretese, sapendo quello che propone. L'ultimo brano poi, "The Same Old Sun", è molto bello, si riscoprono preludi a sonorità che saranno poi riprese nei primi anni '90. L'assolino di chitarra infine è coinvolgente e piacevole, se vogliamo, possiamo pure ritrovare una lontana parentela con qualche brano dei Floyd, ma tutto si conclude lì.
In definitiva il disco non è proprio da buttare, ma è fortemente consigliato a chi ama le classiche ballate d'amore che andavano tanto in voga venti anni fa. Per chi invece non ne impazzisce, beh allora conviene cercare un altro titolo.
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