Talvolta, nelle oziose serate della mia vita universitaria, ero solito trovarmi in camera con l’amico Mauro ed i vecchi Michele, Gianluca, Marco e Dario per discutere di uno dei grandi temi della vita: qual è il gruppo o artista maggiormente sopravvalutato nella storia della musica pop/rock?, o, meglio, quale artista ha goduto di una fama e di un credito planetario del tutto sproporzionato al valore intrinseco delle sue opere?
La risposta non tardava a venire, seppure con discussioni interminabili, e la classifica, invariabilmente, vedeva ai primi tre posti: 1) Beatles; 2) Elvis; 3) U2. Mediocri musicisti dalle immense fortune ed all’enorme influenza su stuoli di giovani incoraggiati a seguirne la carriera, sociologicamente importanti ma musicalmente trascurabili.
So già che con queste frasi mi sarò attirato gli strali dei lettori del sito, ma per qualche tempo questa sarà la mia ultima recensione, per avrò di che meditare sulle eventuali critiche che i cortesi utenti, e, segnatamente i fan dei Beatles, vorranno rivolgermi, visto che proprio del quartetto inglese vorrei occuparmi nelle pagine che seguono.
Anche se la scelta è, a sua volta, discutibile, voglio procedere ad una disamina della musica dell’ormai santificato gruppo di Liverpool dall’album One, raccolta dei singoli del gruppo che ne riassume sufficientemente la carriera (e non è presente sul sito), con l’avvertenza che non tento di negare l’importanza storica dei Beatles, e neppure la bellezza di certe loro canzoni, limitandomi semplicemente a ridimensionare la loro (presunta) grandezza, specie se raffrontata a loro contemporanei come Rolling Stones, Kinks, Who, Yardbirds, Pink Floyd, Shadows, Beach Boys, o al grande Jimi Hendrix, giusto per citare gruppi qualitativamente più significativi per la storia del pop rock e del rock tutto.

Visto che tutti conoscono i pezzi inclusi nell’album, non mi dilungherò nella loro superflua descrizione, ma mi limiterò ad effettuare alcune sintetiche osservazioni: pezzi meritevoli sotto il profilo tecnico mi sembrano solo I Feel Fine, dal bel riff (poi ripreso da Elio nel “Pipppero”), We Can Work It Out (in pratica due canzoni in una, ben legate), Hello Goodbye (toni quasi psichedelici), Hey Jude (ottima conclusione con l’incrocio di cori), Come Together (bel rock blues, ma sono migliori le cover di altri artisti, tipo Aerosmith). I pezzi restanti, pur restando certamente pregevoli, in forza di melodie sempre orecchiabili ed ormai classiche (essendo utilizzati in miriadi di spot, trasmissioni televise, passaggi radiofonici etc.) nulla aggiungono e nulla tolgono, sotto il profilo prettamente musicale, alla storia del rock, scolorendo rispetto ai lavori dei menzionati gruppi coevi sotto il profilo compositivo ed esecutivo: chi ne ha voglia le raffronti con qualsiasi pezzo degli Stones dell’epoca, con Train Kept a Rollin’ degli Yardbirds, con You Really Got Me dei Kinks, o con i primi pezzi degli Who contenuti in Odds & Sods, come I’m the Face, per non parlare di My Generation etc..
La musica dei Beatles, se ascoltata oggi, appare inoltre irrimediabilmente superata, mentre ancor freschi e stimolanti sono i menzionati gruppi coevi, e la sua pretesa modernità ed attualità dipende forse dal fatto che, per i più, si tratta di pezzi entrati a far parte del vissuto quotidiano, come l’albero di Natale sotto le feste o l’ombrellone in spiaggia d’estate, o l’inizio della scuola a metà settembre. Si tratta, poi, di musica che ha avuto, in pratica, scarsissima influenza negli artisti attivi nelle decadi successive, superata dai contributi di tutti quegli artisti che emersi nel triennio ‘68/70, fra i quali rammento i Led Zeppelin, i Black Sabbath, lo stesso Hendrix, i Velvet Underground, gli Who di Who’s Next, i Deep Purple di In Rock: musica che a poco a che spartire con i Beatles e che segnano la vera frattura nell’evoluzione degli stili moderni, almeno in ambito rock.

Scusandomi per i toni assertivi, giustificati dalla sintesi imposta, attendo commenti. L’album merita un 3, si lascia ascoltare.

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