Primavera… la sera di una qualsiasi piovosa primavera londinese. Dopo una pausa di circa mezz’ora, alle 8.30 p.m. i Beatles rientrano nello studio 3 di Abbey Road ed iniziano le registrazioni di un nuovo brano scritto da John Lennon ed ispirato ad uno dei suoi naufragi onirici, sempre più frequenti in quel periodo.
Grazie all’uso di quelle sostanze che ti permettono di intraprendere lunghi viaggi senza spostarti da dove sei, anche nel mondo musicale si avvertì un cambiamento. Del tutto inaspettato.
Sul finire del ’65 i Beatles avevano dato alle stampe “Rubber Soul”, un ingenuo tentativo di dare voce a quelle voci che circolavano sempre più frequentemente nelle menti dei ragazzi. Anche la grafica ne è un segnale. Un provino fotografico uscito distorto dalla camera oscura colpì immediatamente Lennon, che volle assolutamente quell’immagine per la copertina del nuovo disco, a testimonianza di una ricerca, anche visiva, di quel distacco sempre più marcato dalla realtà.
“Nowhere Man”, “If I Needed Someone” e “Norwegian Wood (This Bird Has Flown)” erano inconsapevoli esempi di quel nuovo che si respirava. All’inizio dell’ anno successivo, dalla California si levò una voce distinta che attirò l’ attenzione di tutti (musicisti in testa) rilanciando al mittente di Liverpool la sfida lanciata con l’anima gommosa… era “5th Dimension” dei Byrds. Una piccola perla allucinogena era contenuta al suo interno. “Eight Miles High” era il nuovo inno proveniente dal fervore della costa occidentale degli Stati Uniti, dove anche la fortissima scena garage stava tentando di registrare il cambiamento, per cui esplodevano i colori di gruppi come 13th Floor Elevator, Love, The Misunderstood, Electric Prunes, The Sonics… solo per citarne alcuni fondamentali. Con questo brano, chiunque dovette fare i conti. Ma a Londra non c’erano il mare ed il sole della California, così nella mente di Lennon, le espansioni psicotrope lo portavano violentemente nel turbine del mutevole tempo, che da sempre affligge i britannici e d’ incanto se ne esce con una folgorante litania di bambino che prova a giocare con la meteorologia… mischiando pioggia e sole in un tutt’uno. Nasce in questo modo l’ idea di “Rain”, a mio avviso il primo pezzo consciamente psichedelico della storia del rock.
Così la sera del 14 aprile 1966 Lennon si ritrovò con i suoi compagni per tentare di dare una forma compiuta a questa sua idea bizzarra. Dopo la seduta notturna, i Beatles terminarono le registrazioni di “Rain” durante tutta la giornata di sabato 16 aprile, avvalendosi, oltre all’aiuto del fidato produttore George Martin, di quello dei potenti mezzi a loro disposizione nello studio 3 della EMI. Tecniche innovative vengono sperimentate nella realizzazione del brano, limitatori, compressori, jangle boxes, altoparlanti Leslie e bizzarrie varie (che oggi è di moda definire Vintage) al servizio di parti musicali suonate ad una velocità superiore per poi essere rallentate in fase di missaggio, così da rendere alterate le frequenze degli strumenti. Un tono cupo e misterioso esce da questo gioco di effetti, su cui la voce di Lennon viene sovraincisa più volte (anche girata al contrario sul finale, grazie al Varispeed, effetto ottenuto giocherellando con i tapes loops, ultima “mania” di McCartney) così da risultare aspra e poco conciliante, come nemmeno Roger McGuinn si era azzardato a fare per “Eight Miles High”.
Tutto questo riuscì a rendere in maniera strabiliante le atmosfere di coscienza alterata, narrate nel testo. Il sole e la pioggia si alternano e sovrappongono in un caleidoscopio di luci ed ombre, che la mente lisergica di Lennon tenta di vedere con gli occhi del bambino spaventato che chiede disperatamente aiuto “Can you hear me.. ?”. Queste stralunate regressioni, vengono dolcemente adagiate sul morbido tappeto creato dalle chitarre di Harrison e dello stesso Lennon, in apparente contrasto con il pulsante basso di McCartney e soprattutto con la martellante ed ossessiva ritmica di Ringo Starr (che lui stesso continua a sostenere sia la sua migliore performance con i Beatles); cucinando un amalgama collosa e claustrofobia come mai prima e raramente dopo (forse solo lo strano hobby di Arnold Layne). I Beatles decidono di inserirla sul lato B del singolo “Paperback Writer” , forse un po’ intimoriti dal risultato ottenuto, donandola così solamente a quei pochi che realmente ne hanno capito l’importanza.
La psichedelica era definitivamente nata, diventando in breve tempo, non soltanto uno stile musicale, ma soprattutto uno stile di vita, con le sue esagerazioni ed i suoi capolavori. Può essere che i Beatles non ne furono completamente consapevoli ed altri se ne fregiarono, ma è certo che in maniera così compiuta non cadde nemmeno una goccia acida, prima. La lasceranno solo scolpita nei solchi di questo piccolo vinile (non apparirà mai su nessuna compilation fino agli anni 80) uscito nei negozi di tutto il mondo a cavallo fra il 30 maggio 1966 (in USA) ed il 10 giugno dell stesso anno (nel Regno Unito). “Rain” sembra proprio uscire da un’altra dimensione ed è proprio questo che ne determina l’originalità… così da suonare ancora oggi ultraterrena. La magia era finalmente liberata.
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