"Chiedi chi erano i Beatles" sospiravano qualche anno fa gli Stadio. Oggi siamo in piena epoca di revisionismo storico: se fino a qualche anno fa i Beatles erano indiscutibili (mostri sacri, e in effetti lo sono stati) oggi si tende a straparlare: qualcuno dice che i 4 scarafaggi di Liverpool sono stati più un fenomeno mediatico e che, musicalmente, valevano poco. La seconda ipotesi (quella della poco bravura musicale) è una baggianata bella e buona: i Beatles hanno praticamente creato il beat-pop, poi divenuto pop, sono stati fonti di ispirazione per una sequela impressionante di cantanti e gruppi e hanno saputo creare (non inventare) il pop psichedelico rendendolo estremamente popolare e commerciale (essere commerciali non è un difetto, anzi, spesso è un pregio). E comunque, il 95% della popolazione mondiale, sa che i Beatles sono stati fondamentali nella storia della musica: il restante 5% si studi un pò di storia del pop e poi venga a parlarne.

Nel 1988, per omaggiare i Beatles, uscì un lussuoso cofanetto in legno contenente 16 CD in cui era stipata tutta (e dico tutta) la discografia dei Beatles. Chi non la possedesse dovrebbe correre a comperarla subito, anche se, oggi, il prezzo è abbastanza alto: 350 euro, ma il valore musicale, di per sé, è assolutamente inestimabile.
- "Please please me" (1962, Parlophone): È il primo disco del gruppo, ed è, palesemente, il più semplice e immediato. Musica beat e spigliata, canzoncine facili facili e una serie di cover più o meno famose ("Twist & Shout", "A Taste Of Honey"). Qua e là spicca qualche gioiellino, ma soprattutto è presente il primo vero successo discografico dei Beatles, "Love me do". Voto: 6/10
- "With the Beatles" (1963, Parlophone): Finalmente Lennon e McCartney si siedono a tavolino e cominciano a scrivere i primi pezzi storici ("All My Loving", "Hold Me Tight"), e questa volta, i canonici tre minuti per canzone, vengono sapientemente distillati in brani oscillanti tra il beat quasi rock e i lentacci da ballare con disinvoltura ("Money", "Please Mr. Postman"). Voto: 7/10
- "A Hard Day's Night" (1964, Parlophone): Ne avevo già fatto un ampia recensione, mi limiterò dunque a ricordare che è da questo disco che i Beatles cominciano davvero a fare sul serio: nata come semplice colonna sonora per uno dei tanti filmetti girati dai 4, il disco diventa, in breve tempo, un classico senza distinzioni d'età (pezzi come "If I feel", "Any Time At All", "Can't Buy Me Love", sono da tempo immortali e indispensabili). Voto: 7/10.
- "Beatles for sale" (1964, Parlophone): Il successo è inarrestabile, il pubblico chiede novità. Evidentemente pressati da continue richieste da parte dei fans, i Beatles sembrano un pò perdersi nel marasma dello show-business. Realizzano un disco un pò molle, a tratti persino imbarazzante, ogni tanto, per fortuna, tirano fuori dal cappello qualcosa di dignitoso ("Eight Days a Week"), ma le cover questa volta, sono tante (forse troppe) e non sono nemmeno convincenti. Voto: 5/10.
- "Help!" (1965, Parlophone): Il primo grande album dei Beatles, uno dei più coesi e brillanti. I Beatles, pur non disegnando una buona dose di beat, veleggiano sicuri verso influenze folk rock che sopraggiungono dall'America. Tante ballate essenziali e incisive ("I've Just Seen A Face", "You've Got To Hide Your Love Away") e una serie di brani assolutamente monumentali, tra cui "Ticket To Ride" e i cori perfetti (forse un pò vezzosi) di "Help!". Per la leggenda non c'è nessun problema: McCartney scrive, compone e interpreta l'immortale "Yesterday". Voto: 10/10.
- "Rubber Soul" (1965, Parlophone): Finisce l'epoca del beat, e inizia la fase creativa e allucinogena (i viaggi in India, il guru Seibaba, le droghe viste come supporto all'arte e alla vita). Non più solo gruppo per ragazze e ragazzini, i Beatles cominciano a speziare i loro brani con doppi sensi e malizie sexy. Ma cambia anche il modo di suonare: oltre ai canonici strumenti (pianoforte, chitarre, basso, batteria), subentra anche il sitar ("Norvegian Wood"), e il livello compositivo generale si fa più alto e composto (le metriche, i giri armonici, le strutture musicali, tutto è meno ingenuo e più complesso). Nascono quindi brani indimenticabili: "The Word", "Drive My Car", "Michelle", "In My Life", "Girl". Voto: 10/10.
- "Revolver" (1966, Parlophone): La psichedelia non l'hanno inventato i Beatles, sia chiaro, loro l'hanno semplicemente perfezionata e resa più accessibile al grande pubblico. "Revolver" è il loro primo lavoro chiaramente psichedelico: brani come "Good Day Sunshine" o Tomorrow Never Knows" sono l'esempio più lampante di come, in pochi anni, i Beatles siano riusciti a modificarsi e a perfezionarsi, rendendo il loro sound meno adolescenziale e sicuramente più raffinato. Anche un pezzo apparentemente semplice come "Eleanor Rigby" racchiude in sè significati e argomenti sicuramente non convenzionali. C'è anche "Yellow Submarine", un brano semplice e orecchiabile: è l'unica cosa vivace dell'intero album, ed è forse quella meno riuscita. Però, vada dato atto a Ringo Starr di aver almeno provato a scrivere una canzone. Voto: 10/10.
- "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" (1967, Parlophone): Qualcuno lo definisce il disco più importante di tutto il rock, qualcun'altro invece lo bolla come testo base di psichedelia. Non lo so chi dei due abbia ragione, però lo considero il capolavoro assoluto dei Beatles nonchè album più bello dell'intera storia della musica (pensatela come volete, ma per me rimane così). Nel pieno della stagione dell'amore (la cosiddetta Summer Of Love) i Beatles realizzano un qualcosa di estremamente eccellente, capace di passare con disinvoltura dal pop al rock, dalla psichedelia ai profumi d'Oriente. Il Sergente Pepper sogna LSD e racconta di "Lucy In The Sky With Diamonds", McCartney ammicca ancora alle droghe con "Fixing A Hole", si racconta di ragazze che cercano la libertà uscendo di casa (e non è che fosse proprio un argomento così banale all'epoca) con "She's Living A Home", John Lennon si inventa un carrozzone musicale circense con "Being For The Benefit Of Mr. Kite!", George Harrison suona il sitar (benissimo, va detto) in "Within Or Without You", "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" (specie la seconda parte, la reprise) è un rock abbastanza scatenato mentre il finale con "A Day In The Life" non è nient'altro che un capolavoro, con tanto di intermezzi futuristici (o spaziali, fate voi) che assomigliano a certi passaggi musicali dei Pink Floyd di inizio anni Settanta (involontario omaggio o ennesima inevitabile scopiazzatura?). Voto: 10/10.
- "Magical Mystery Tour" (1967, Capitol): Unico LP americano, entrato nella discografia beatlesiana a pieno diritto. Non si tratta di un capolavoro, nonostante la presenza di brani passati alla storia ("Penny Lane", "Strawberry Fields Forever", "Hello, Goodbye", "All You Need Is Love"), il disco appare poco unito e coeso, quasi una semplice dimostrazione del livello compositivo a cui erano arrivati i Beatles. Non c'è sostanzialmente un idea forte o un collante che tenga assieme una serie, comunque eccellente, di brani che, nonostante tutto, sono divenuti col tempo dei classici immortali. Voto: 8/10.
- "White Album" (1968, Apple): I Beatles fondano la loro casa discografica, la Apple. Questo però significa poco: i contrasti tra John e Paul cominciano ad inasprirsi troppo velenosamente, George sempre un tassello pregiato a cui nessuno vuole attingere, mentre il povero Ringo viene lasciato in disparte come, a onor del vero, è sempre accaduto sin dal primo album (Ringo non era un batterista eccezionale, spesso le sue lacune venivano rattoppate da John o Paul, a seconda del brano). Il famoso 'disco bianco' però, è un capolavoro. Si sente che ognuno pensa per sè, e infatti anche qui, manca coesione e compattezza. I brani però sono più interessanti e a tratti persino innovativi: ci sono le filastrocche un pò scioccharelle come "Obladì Obladà" e le romanticherie tipiche del miglior Lennon ("Julia", dedicata alla madre), ma c'è spazio anche per il rock'n roll puro ("Back In The USSR"), per alcuni brani acustici ("Blackbird", "I Will"), per la sperimentazione (martellante quella di "Revolution") e per il punk (o meglio, quasi punk) di quello che è probabilmente il brano cardine dell'intero album, "Helter Skelter". Poco lavoro in studio, registrazioni spesso nemmeno studiate. Ne è uscito un capolavoro. Voto: 10/10.
- "Yellow Submarine" (1969, Apple): Colonna sonora dell'omonimo cartoon. Francamente niente di eccezionale, però la classe, come si suol dire, non è acqua. Voto: 6/10. "Abbey Road" (1969, Apple): Penultimo lavoro dei Beatles. Assolutamente eccezionale per i modi in cui venne registrato (in fretta, senza rifiniture o cure particolari) è un capolavoro del pop, prima che disco cardine dell'intera produzione beatlesiana. Ancora una volta John e Paul si spartiscono la fetta più grossa, e scrivono una serie di brani oscillanti tra il romantico e il delicato ("The End", "Golden Slumbers"), ma c'è spazio anche per il solito scatenato rock o filastrocche apparentemente sciocche ("Sun King"). Questa volta però, anche Ringo e George riescono a infilarci un terzetto di perle: George scrive forse il brano più bello dell'intero album, "Something" e l'ottima "Here Comes The Sun", mentre Ringo scrive la sua personalissima "Yellow Submarine - Parte Seconda", ovvero "Octopu's Garden". Capolavoro del pop, come detto, e basterebbe "Come Together" per confermare questa tesi. Voto: 10/10.
- "Let it be" (1970, Apple): È l'ultimo lavoro del quartetto, ed è il loro passo d'addio. Un addio che poteva essere anche meno crudo: i 4 non riescono a mettersi d'accordo sulla veste da dare all'album, e ne viene fuori un pasticcio brutto brutto. Inutile parlare delle leggende creatisi intorno a questo disco, a partire dal potente produttore Phil Spector che mise pesantemente mano al lavoro, spesso stravolgendone completamente significato. La pomposa "The Long And Winding Road" non doveva essere così magniloquente (John la impose a Paul in maniera sprezzante e dittatoriale), della maggior parte dei brani nessuno si ricorda quasi più ("I Me Mine", "Two Of Us"), e le improvvisazioni (chiave di volta dei precedenti "White Album" ed "Abbey Road") questa volta non funzionano, anche perchè molti brani sono scarti recuperati che forse, facevano meglio a giacere in qualche angusto cassetto. Nella memoria collettiva sono rimaste "Let It Be" e "Get Back", canzoni belle, ma certo non capolavori. Voto: 5/10.
- "Past Masters, Vol. 1 e Vol. 2" (1988, Parlophone): Si tratta di un bel lavoro di recupero. Sono presenti tutti i brani ufficiali che non sono mai apparsi negli album inglesi. Sostanzialmente, tutto ciò che è stato pubblicato dai Beatles. Recupero importante, se si considera la varietà dei suoni presenti in questi due corposi volumi. Voto: 10/10.


Ecco, se comperate "The Beatles Collection" avrete, in 16 CD, tutto questo. E scusate, permettetemi, non è affatto poco, anzi...

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