Piove, il sole è rimasto a dormire tutto il giorno. Oggi non ha messo nemmeno un dito fuori dal suo buco. Sono metereopatico, lo so da un po'. Avrei un sacco di cose da dover fare, un sacco di compiti da rispettare, ma ci sono giorni in cui fai spallucce su tutto perchè poco altro rimane da fare. La lenta processione del cuore nero si è messa in marcia ed io la seguo. A passo di carro funebre giriamo questo mondo allagato.

C'è qualcosa di magico nella delicatezza che questi ragazzi di San Diego usano per sporgersi dalla loro finestra. Delicato, un modo delicato, ma deciso. Una ferrea decisione comunicata con umana dalicatezza, sussurrata in un caldo bar al cospetto di una birra. Qualcosa del tipo "non ti amo più". Una decisione presa e imposta con una carezza. Questa è la musica dei Black Heart Procession. Una dolce melanconia alla quale abbandonarsi, nessuna resistenza alle note che arrivano dolci e ti cullano.

Delle ballate folk da post-esplosione atomica sospese sul vuoto. Come se il Johnny Cash placato dalla vecchiaia incontrasse il Neil Young violentatore della sua Les Paul intento a spianare la strada di William Blake. Tutt'insieme riuniti per riarrangiare il dolore di "From Here to Eternity" eliminandone quel senso di febbre e malattia.

C'è qualcosa di religioso nella reiterazione dello stesso concetto. Un disco dei Black Heart Procession, nella fattispecie questo "Three" (edito dalla Touch and Go nel 2000), nella sua reiterazione, nella ciclicità espressiva del suo concetto, è un'esperienza religiosa.

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