La Nuova Zelanda sta dalle parti dell’Australia e fin qui non ci piove.

Io me la sono immaginata sempre come la Svizzera degli antipodi, chissà perché, e più o meno me ne sono sempre fregato, proprio come per la Svizzera.

Poi, ho digitato Nuova Zelanda su gugol ed i primi risultati che mi sono apparsi davanti agli occhi sono, nell’ordine: la paginetta dedicata da uichipedia; Clara Webber che racconta perché in Nuova Zelanda non tornerebbe a viverci neanche morta; la notizia che in Nuova Zelanda ogni anno 500 giovani si uccidono; cinque cose non sapute sulla Nuova Zelanda, ad esempio che è il paese geograficamente più distante dall’Italia.

Di mio, aggiungo i cimiteri.

Non ho fatto ricerche sui cimiteri neozelandesi su gugol, ma a dar retta ai Cavemen ce ne devono essere un bel po’.

I Cavemen sono una banda di quattro ragazzetti dai sobborghi di Auckland: banda musicale, intendo, nel senso di Paul che canta, Jack che suona la chitarra, Nick che sta al basso e Jake che pesta sui tamburi.

Banda musicale, magari, da l’idea della banda che passa e suona accompagnando la processione per la festa patronale.

I Cavemen però sono una banda di delinquenti: io non mi sarei mai azzardato a dargli dei delinquenti, ma sono loro che raccontano di essersi conosciuti al riformatorio e che hanno titolato il loro primo singolo «Juvenile Delinquents».

Sono dediti alla birra, alle ragazze ed al rock’n’roll in ordine sparso.

Sono pure appassionati di scampagnate nei cimiteri fuori mano di cui sopra e del farsi selfi in posa a fianco di lapidi circondate da erbacce e rifiuti.

Proprio come quello che campeggia sulla copertina del loro primo, omonimo lp, che è una bomba.

Se suoni rock’n’roll in una banda di delinquenti, allora il rock’n’roll si chiama punk-raw: lo certifica Eric Davidson, quello che canta nei New Bomb Turks, e la materia la conosce come le tasche lacere dei suoi jeans.

Se l’esordio è una bomba, questo che gli tiene dietro fa ancora più disastri.

Spero che la bomba me la sgancino addosso, cantano in un pezzo.

Tanto per dire.

Nato per odiare: titolo grandioso per un disco punk-raw.

Che poi i titoli sono importanti, mettono in chiaro la filosofia spicciola dei giovani delinquenti.

Selvaggio. Sono a pezzi. Odio l’arte. Il suo nome è Satana. La velocità della morte. Per me sei morto. Cattiva ragazza, cattivo ragazzo. Ti ucciderei (solo per vederti morto).

Ora, non conosco la distanza che separa la Nuova Zelanda dall’Ohio e neppure se esiste una strada che va da lì a là, ma questi teppisti sono - musicalmente - tra gli eredi più credibili dello spirito dei Pagans: sono le stesse arroganza, sana incazzatura, grezzitudine, sporcizia.

Solo che hanno una profonda attitudine garagista e suonano più veloci: dopo tutto, se Jake sulla copertina indossa la maglietta dei Motorhead, una ragione ci sarà.

Punk-garage, come i DMZ, ma molto di più, perché sono pure passati quarant’anni e non sono passati invano.

Sensazionali, per chi vive di queste sensazioni.

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