Conosco il Sulcis marginalmente ed è per questo che quando vedo il programma del Sant'Anna Arresi Jazz Festival penso subito che, andandoci, finalmente prenderò due piccioni con una fava con la sicura conquista di Portopino.

I The Comet is Coming suonano il 5 settembre, quando mi viene rivelato mancano tre settimane e nonostante il largo anticipo appena posso blocco due biglietti, son già stata a qualche altra serata musicale e ho visto con quale facilità si raggiunga il sold-out. E' questo l'anno in cui ogni semplice evento mondano sembra essersi trasformato in un avvenimento epico per la rarità delle proposte. Starò fuori dal Regno per due settimane e non voglio brutte sorprese. Ci ho visto giusto: il giorno prima del concerto arriva l'annuncio ufficiale dei biglietti esauriti nonostante per questo Festival, mi dicono in tanti, non sia praticamente mai accaduto.

Il viaggio di circa 160 km per giungere a destinazione ha inizio in una calda post pennichella, devo recuperare a metà strada B che “amabilmente” mi ha fatto partire con un certo anticipo, a mia insaputa, e risponde alle mie rimostranze con un “naaaa... tanto saresti arrivata in ritardo”.

Arrivo quindi in ritardo (per cui al giusto orario), ma tra chiacchiere con il vicinato inviperito per il mio ingresso in contromano, caricare bagagli in macchina, aspettare che B spenga luci-chiudacasa e dichiari falsa partenza al grido di “§%&#, ho lasciato il telefono a casa: torniamo indietro!” siamo davvero e ufficialmente in ritardo. Mancano ancora 80 km e guido io. Non ho musica in macchina che abbia davvero voglia di sentire, la usb degli mp3 con le novità non funziona più ma tanto B parla sempre ininterrottamente e quindi rido tutto il tempo dei vari racconti della sua estate al limite dell'inverosimile. Non ci vediamo da quasi due mesi e lui è un fiume in piena.

La strada fino a Sant'Anna Arresi nel tratto sulcitano è una serie ininterrotta di paesini pressoché deserti che conoscevo solo di nome, il 95% dei bar incontrati (n.b. è sabato sera) sono chiusi e io ho bisogno di un caffè e di un gelato. Subito. Siamo nello splendido scenario del Sulcis, verdissime e imponenti montagne si stagliano intorno a noi, davvero maestose e inaspettate rispetto al riarso Campidano che ci siamo da poco lasciati alle spalle, luogo civilizzato in cui forse troppo facilmente avrei trovato un bar per bere il caffè e mangiare un gelato. Un gelato magari non conservato insieme al pesce e confezionato di recente, tipo nell'ultimo decennio.

A Sant'Anna Arresi, dopo esserci metodicamente persi appena entrati nel paese, chiediamo indicazioni e arriviamo con facilità all'area concerti. Questa è situata sulla parte alta del paese, vi si trova il Nuraghe Arresi tirato a lucido col suo piccolo prato verde il quale fiancheggia la piccola chiesa la cui gradinata d'accesso costituisce gli spalti dell'area concerti, questi si snodano come un istmo sul mare verso il centro della piazzetta nella quale è stato montato il palco, i gradini danno infatti la piacevole sensazione di stare esattamente “sul” palco, quasi in volo. Non sono presenti elementi divisivi tra pubblico e artisti, il palco è bassissimo e posso quasi vedere chi suona dall'alto invece della più canonica visuale dal basso. Negli ultimi anni ho notato che ad ogni concerto sempre più si ha la tendenza ad aumentare la distanza tra pubblico e suonatori, palchi altissimi e transenne in acciaio ci dividono dai nostri idoli di cui potenzialmente preferiremmo sentire l'odore di sudore e magari ricevere anche qualche sputacchio piuttosto che percepirli a una distanza “da cartolina” in nome di una non ben chiara sicurezza da salvaguardare.

Dopo esserci guardati un po' intorno, aver salutato velocemente conoscenti vari, tra cui alcuni soliti sempre-presenti che non sapevano neppure chi dovesse suonare, scopriamo che il bar-più-fiko fronte concerto applica prezzi doppi rispetto al bar a 150 metri, proprio quello di fronte alla mia auto parcheggiata. E' per tale ragione che alla fine, anche se siamo arrivati a un orario più che dignitoso, ci perdiamo i primi quattro minuti di concerto. Comunque con un po' di slalom casinista tra le persone sedute troviamo posto nei sopraccitati gradoni nella posizione da me avvistata e iniziamo finalmente il nostro “trip sonico”.

Come potrete immaginare hanno attaccato (#forse) con la splendida Summon the fire. Vedo esattamente di fronte a me King Shabaka, lui soffia dentro il suo sassofono anche l'anima, ha un'espressione concentrata e serafica allo stesso tempo, perde davvero poco tempo per l'interazione col pubblico, del resto pare non l'abbiano dotato di microfono funzionante del quale ogni tanto si lamenta facendo cenni vari a qualcuno posto alle mie spalle, la serenità che emana questo altissimo ragazzo è tale per cui anche il disguido del microfono non increspa minimamente il suo volto. Pertanto è chiaro che la sua presenza è enfatizzata e resa indimenticabile, più che dalle sue parole, dal riflesso perfetto delle luci sulla sua tornita pelle ebano. Suona con la potenza di un'astronave madre che debba colmare distanze siderali, si resta ipnotizzati a seguire le sue fluide dita col quale comunica che per l'atleticità della sua persona la performance musicale è naturale propaggine.

Il game master della serata è Dan Leavers (Danalogue), si presenta come un folletto dei boschi in giacca di maglia verde con cappuccio a punta di cui ben presto si disfa (presumo indotto dal caldo sulcitafricano), mostrandoci una lisergica t-shirt a strisce color Anas con ampie aperture per le braccia anti ascella-pezzata. E' lui che ci saluta con un familiarissimo e simpatico “Comenti istais?”, è lui a trasportarci continuamente su universi psichedelici paralleli ed è lui che stabilisce quanto desiderare una serata danzante in cui essere nuovamente liberi dalle costrizioni antivirulente, cioè moltissimo.

Il tutto è accompagnato e scandito dal ritmo della batteria di Max Hallet (Betamax), un “androide” che ha suonato non meno di 90 fittissimi minuti quasi consecutivi, sfiancandosi sul finire con uno splendido assolo mentre King e Danalogue si reidratavano rispettivamente con acqua e birra, seduti per terra, prima dell'exploit finale. Betamax è stato impressionante, nonostante due occhi pericolosamente rossi e gonfi e un portamento a fine serata che facevano presagire un imminente mancamento, ha tenuto apparentemente inalterata la stessa energia, proprio come un oggetto libero nel cosmo al quale viene applicata una leggera forza e il cui conseguente moto inerziale prosegue per l'eternità.

In sostanza un evento ad alto fattore di imperdibilità: non un momento d'attesa con un pubblico perennemente in estasi, tanto che anche qualche ingombrante fotografo, almeno per un momento, ha risposto gli attrezzi del mestiere per godersi finalmente lo spettacolo. Un gruppo da vedere dal vivo per apprezzarne ogni possibile sfumatura e forza esplosiva, con buona pace di chi non l'ha fatto.

Una manifestazione longeva, piccola ma enorme, questa del Sant'Anna Arresi Jazz, che quasi in sordina, a un prezzo più che accessibile offre davvero molto e merita un grandissimo plauso anche per l'intima location la quale offre la possibilità di stare vicino al musicista tanto da poter osservare di quali movimenti si componga il suo gesto (e se mi togli questa possibilità io ti maledico, organizzatore dei miei stivali!).

E poi il giorno dopo c'è il mare: Portopino è un Poetto che ce l'ha fatta. Voto arenile 6,5 ma diamo alla trasparenza dell'acqua e la scenografica e verde pineta retrostante un bel 8,5. Definitivo.

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