E' probabile che l'abbiate capito leggendo la quasi totalità delle mie rece-recenti, ma per amor del prolisso l'affermo: ho nostalgia degli anni novanta. Di quando avevo sedici anni ed ero né carne né pesce né soia... Di quando mi sforzavo d'essere più eclettico, sicuro, leader, istrione, semplicemente simpatico, ed invece agguantavo proprio perché biondino, frocetto, spaventato, impacciato, mezzo agorafobico, e per giunta col Si senza variatore.

Innamorate, loro, non di me, bensì del proprio stato mentale e del proprio ideale, che guarda caso coincideva più o meno con i canoni di bellezza maschile del tempo. Dentro di me, sentivo d'essere un vulcano destinato ad esplodere, e che in fin dei conti non vedeva l'ora di farlo, ed il non riuscire ancora a venir fuori mi costringeva ad un limbo di sensi d'inadeguatezza, d'impreparazioni, d'imprecisioni, di impappinamenti: tutto ciò fu una gran fortuna, va detto.

Negli anni '80 un loser come me non sarebbe stato neppure preso in considerazione, e invece in questi novanta più sfigato eri e meglio t'andava a finire. Proviamo a confrontare l'esistenza adolescenziale con la musica da classifica... Non c'avevi una lira, bevevi come un nibelungo e fumavi come un turco metallaro? Le donne sono qualcosa con le calze a rete da mettere culo a ponte? Guns n'Roses. Tu perdipiù non ti fai lo shampoo da un anno e mezzo? Allora Guns n'Roses più Piero Pelù! Quando la maglietta con le maniche lunghe ti si sporcava di sugo sulla pancia tu ci mettevi un'altra maglietta sopra, ma quella più scura che avevi aveva le manichette? Cobain! Le tue Converse bianche non erano più bianche, e ti si sente arrivare da lontano per la puzza? Come il biondino dei Lemonheads che nel videoclip si butta con la fidanzata dentro la vasca con tutti i vestiti: d'estate, con le Converse ai piedi, andavo a mare tutti i giorni, e mi ci facevo il bagno; tornato a casa mi docciavo, vestivo, reindossavo le Converse ancora zuppe ed andavo via.

Né prima né dopo fu così facile, e soprattutto così economico. Oggi qua si deve far finta d'essere manager della Renault pure per uscire con una rumena, e le russe mi vogliono dare lezioni d'italian style... Insomma, non me ne va bene una. Riconosco che, per quanto mi sia sforzato di venir su bene, le versioni successive a quel me stesso non hanno reso abbastanza.

Ah, belli i novanta... Antieroi che divenivano eroi, perdenti che vincevano, ombre che diventavano emblemi, sfigati che divenivano icone; il sesso che, alla stregua di tutte le altre cose per cui s'ha pudore innato, veniva fuori assieme a tutte le altre "interiorità": tu tiravi fuori l'uccello ed è come se tirassi fuori "il tuo io"... Mi mancano quegli anni, e mi manca la vita facile, anche se allora non la capivo, anche se allora volevo qualcosa di superiore, pur sapendo che sarebbe stato più complicato da vivere.

Oggi che nessuna casa editrice ha pubblicato le mie fatiche, che la banda s'è sciolta, che la comitiva è un ricordo, che è da un pezzo che non frequento un qualsivoglia paese di madre lingua inglese, oggi che non bevo più, oggi che sono rimasto solo al bar a voler cambiare il mondo e me stesso, mentre la cameriera rumena mi porta il succo d'ananas tirandosela, ripenso ai Connells, a questa band del North Carolina nata negli anni ottanta che mai, credetemi, mai avrebbe potuto avere un disco di successo planetario se non in quel 1994, e che poi inevitabilmente ripiombò nell'anonimato, pur avendo magari pubblicato, prima e dopo di questo, tanti altri dischi, alcuni chi lo sa?, anche migliori.

Una band di quelle che non avrebbero mai potuto cambiare le sorti del pianeta, di root e poprock chitarristico tradizionale, ricco di acustiche e con qualche jingle jangle. Con un cantante dalla voce delicata e un paio d'occhiali da vista che pare il ragioniere di un supermercato. Un disco da cantare, dal primo all'ultimo verso. Che te lo puoi ascoltare anche se non ti sei rasato, improfumato, impomatato. Anche se i tuoi jeans preferiti sono in lavanderia da una settimana, ché la signora di soldi ne vuole, ma di lavoro... Un po' come me, in fin dei conti. Pace fatta, dunque, anche con la signora della lavanderia, che canta le canzoni di Baglioni a squarciagola mentre stira. Io invece mi canto "'74-'75", e ripenso a quando la tirai fuori coi ragazzi al falò, nell'ubriachezza totale, aspettando che arrivasse il momento di tirare fuori anche l'uccello. E venne bene, perché l'avevamo suonata un milione di volte, ed in condizioni psicofisiche anche ben peggiori.

Chissà se un giorno qualcuno canterà "'94-'95", e ci farà un videoclip come quello dei Connells, in cui si vedono i ragazzi dei seventies che faccia avevano a vent'anni di distanza (dopo i quarant'anni, si sa, ognuno è responsabile della propria faccia)... Volti e sorrisi di persone fors'anche serene, ma cui manca la luce negli occhi delle loro foto in bianco e nero, di due decenni addietro.

Un giorno, se la vità andrà come deve, anch'io sarò in quel modo.

Finisco il mio succo d'ananas e vado in edicola: chissà se vendono i corsi di russo in dvd!

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