E’ difficilissimo parlare di questo album, per ovvi motivi. Qualsiasi giudizio positivo potrebbe essere tacciato di scarsa obiettività a seguito della prematura perdita di Dolores O’Riordan; cuore, anima ed elemento riconoscibile di una band ultrapopolare come i Cranberries.

E’ necessaria quindi una straordinaria capacità di equilibrismo per dare un giudizio, o comunque un’idea, di quello che è questo “In The End”, final release di una band che ha rappresentato una bandiera importante del pop rock degli ultimi venticinque anni. Dopo la prematura morte della frontwoman, i restanti membri hanno deciso (dopo aver ricevuto la “benedizione” della famiglia di Dolores) di proseguire nella lavorazione del nuovo album, già iniziata con la cantante ancora in vita.

Eccoci quindi alla chiusura di un cerchio, con lo storico produttore Stephen Street che torna al suo posto, e Noel Hogan e compagni che decidono di dare un vestito alle demo vocali già confezionate dalla O’Riordan, demo che per fortuna erano già convincenti e quasi pronte per essere utilizzate (innegabile il talento vocale dell’artista irlandese, anche se in ogni caso in fase di editing è servito l’aiuto della corista Johanna Cranitch, in tour con la band nel 2012).

Ecco quindi questo “In The End”: tributo alla memoria di una cantante indimenticabile, vero, ma anche disco autentico, che (prevedibilmente) rappresenta la quintessenza del sound di una band ormai destinata a chiudere prematuramente la propria storia. Un disco delicato, a tratti molto scuro (“Lost”), ma di certo non un necrologio in musica.

Ci sono delle belle aperture melodiche in tipico stile Cranberries (quell’afflato smithsiano nelle chitarre di Hogan unito alla particolare voce di Dolores) che rimandano direttamente al sound dei primi, bellissimi dischi della band irlandese, in un ritorno alle origini che sa di chiusura definitiva del cerchio (“A Place I Know”, “Illusion”, la meravigliosa e straziante “In The End”), e ci sono addiritura un paio di episodi ove la band alza il tiro e torna ad intrecciare arrangiamenti lievemente più aggressivi (non si può non pensare a “Zombie” ascoltando il refrain di “Wake Me When It’s Over”, così come l’opener “All Over Now” mescola sapientemente Smiths e Cure).

“Summer Song” rimanda a certe atmosfere quintessenzialmente pop sviscerate dai Cranberries in alcuni episodi di “Bury The Hatchet” (“Just My Imagination”, “Animal Istinct”), dando colore ad una provia in studio che rischiava in ogni secondo di diventare un monumento alla memoria più che un disco dotato di vita propria.

Hogan e soci evitano questo effetto, e consegnano al mercato un bel disco, assolutamente degno di chiudere una carriera importante e ormai storica.

Un gran bel regalo d’addio.

Brano migliore: In The End

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