Intorno a questo periodo della storia del gruppo di "Crawley" si addensa gran parte degli eventi che (scremando le leggende metropolitane) da un lato condurranno alla temporanea cessazione dell'esistenza degli stessi Cure (fino alla ricomparsa sul verde vinile della Flexi Pop), dall'altro (con l'ottica degli anni 2000) apriranno la strada ad una salvifica maturazione artistica e umana. Diciamo subito che il dark-manifesto "Pornography" rappresenta musicalmente un vertice che non sarà mai più superato, al di là del fatto che vi si preferisca il minimalista-notturno-psichedelico "Seventeen Seconds" o il più sottilmente angosciante "Faith". "Pornography" è breakdown esplosivo, climax creativo e svolta verso una maggiore valorizzazione della componente pop: un insieme di fattori che non poteva essere prevedibile nel 1982.

Racconta Robert Smith (con una sottile auto-ironia) "We'd leave the Fiction flat at nine at night, go and get drug, take drugs and record..." "Then we'd finish at nine in the morning, go and get drunk, take drugs and go to bed...". A parte la "puntualità" di Smith e Co., il biografo Johnny Black racconta che "è da queste sessioni, piuttosto violente ed estreme che prese forma il singolo ". Romanzo o realtà poco importa, perchè "Pornography" è un lavoro che riesce ad essere miracolosamente al tempo stesso punto di non ritorno e di equilibrio, quest'ultimo sorretto dalla rabbia esistenziale di Smith (probabilmente il sentimento "latente" anche agli altri due lavori), finalmente autenticamente liberata ed espressa, incanalata in canzoni dense, poetiche, fortemente artistiche, siano martellanti, ossessive e "ai limiti" o intrise della malinconica "quiete dopo la tempesta".

Un disco improntato ad una poetica profondamente romantica (non lo leggerei in chiave decadente, troppi conti non tornano), vista anche la grande sensibilità di Robert Smith per la letteratura e la poesia (da Coleridge a Shelley). Un Romanticismo inglese, che a differenza delle sue espressioni continentali fu meno intriso di simbolismo e grandi sistemi esistenzialisti di sfondo e più direttamente collegato alle emozioni, tristezza, gioia, senso dello scorrere del tempo e così via. Non si può leggere l'opera dei Cure senza tenere presente questo background letterario. Le ragioni della crisi momentanea che i Cure attraversarono negli anni '82-'83, fino alla ricompattazione nel 1985 furono molteplici. In primis l'inaspettato "successo" di vendite di "Pornography" diede alla formazione l'incentivo per una fittissima ed estenuante tournée mondiale, che portò prima Robert Smith, impegnato full time nei Cure e part time come chitarrista e collaboratore di SiouXSie & The Banshees, all'orlo dello sfinimento fisico e mentale, cui si aggiunse un non tranquillissimo rapporto con Simon Gallup, che fu il casus belli: i due litigarono fino alle mani in un pub a Strasburgo, continuarono a darsele di santa ragione fuori dal locale (dopo essere stati espulsi) e la tournèe terminò in modo burrascoso.

Di quel tour questo documento non ufficiale è un vero gioiellino: i Cure all'Olympia di Parigi, leggendario teatro e tempio della Musica che vide sfilare Edith Piaf e gli "Chansonnaires" francofoni, sono già un qualcosa di così inedito da suscitare una curiosità incredibile. La set-list si rifà, come intuibile, soprattutto alla recente "Trilogia" Seventeen-Faith-Pornography. L'attacco è con "Figurehead", percussiva, cadenzata, rullata poggia sulle pesanti linee di basso di Simon Gallup, essendo la triangolazione completata dal giro di chitarra suonata con lo stile così particolare, psichedelico, "sospeso" quasi a lasciare aperto un finale, e gli echi vocali e strumentali in cui è forgiato lo stile (inconfondibile) dei Cure. Segue "M", dal precedente "Seventeen Seconds" potente e simile nel contrappunto tra basso e batteria, quindi "The Drawning Man", spettacolare climax di "Faith", a chiudere un primo "atto" scandito da tre canzoni simili nella struttura della sezione ritmica, con basso incalzante e drumming che in quest'ultimo caso diviene tribale con fasi in controtempo. La successiva "Short Term Effect" riporta il volo sulle coordinate di "Pornography", uno dei testi più poetici in assoluto ("movimento apparente, come un uccello in caduta, freddo nell'istante in cui tocca la terra insanguinata") in cui si sente sgorgare una melodia quasi "pop" tra le dissonanze percussive e le deformazioni ad effetto della voce.

"Cold", capolavoro dark-gotico con batteria rallentata e come "sfasata" e dominata da tastiere dense e oscure e (l'effetto apparente di) un organo da Chiesa. La psichedelia visionaria e il vertice sperimentale raggiunto conclude un ideale "secondo atto", scandito dal rallentamento ritmico, dall'addensamento del pathos atmosferico e dalla suggestione immaginifica che musiche apparentemente meno melodiche e prevedibili creano in una platea a questo punto letteralmente incantata. La fase successiva inizia con uno dei manifesti emblematici dei Cure, quella autobiografica e visionaria "Three Imaginary Boys", più sostenuta, più rock, e più accessibile a livello melodico. Nello stesso solco si inscrive "Primary", (diciamo così contraltare Cur-iano di "Isolation") ritmata e leggermente più "accessibile" delle altre canzoni di "Faith", ma in una progressione nell'accelerazione ritmica che culmina nell'acclamatissima "One Hundred Years", la "Perfetta Dark Song" in cui il dinamismo ritmico raggiunge il parossismo creando nel live-set un vortice unico e indistinguibile di chitarra-basso-tastiere-batteria e sulla quale la voce di Robert Smith si eleva a ripetere ossessivamente le stesse frasi al termine di un concitato ed infinito testo intriso di disperazione, senso di smarrimento in un labirinto esistenziale senza sbocchi con i vocalizzi di Smith che rappresentano la sublimazione delle paure, la catarsi degli incubi e la liberazione: Robert è nella sua voce l'etereo e "celestiale" Poeta che raccoglie e affronta i peggiori orrori, i più spaventosi mostri di un sottosuolo dell'animo umano, e attraverso la bellezza della Poesia (immagine-musica) e del Canto (voce-corpo), li restituisce alla platea nella forma dell'Arte, condensazione dei significati più oscuri e inattingibili dell'esistenza. Tutto ciò sono i Cure. Magia, Morte, Musica. Amore, Arte, Assoluto. Con il manifesto dell'intera corrente Dark la tensione sfibrante ha raggiunto il climax. Ciò che segue è una sorta di "terzo atto" convenzionale, in cui il lato più romanticamente "oscuro" e malinconico dei cure affiora: "A Strange Day", altro capolavoro lirico e musicale da "Pornography", strutturalmente simile alla precedente "Short Term Effect", con lo stacco e l'assolo di chitarra sospeso senza alcun altro strumento, e il ritornello di Smith senza altro strumento, rappresenta uno dei momenti più alti del live parigino. "Pornography" è il pezzo più rumoristico-sperimentale dell'album in presentazione nel tour, con echi di effetti industriali, declamazione-cantata di Smith sommersa dagli strati di strumenti. "Killing An Arab", visionario e quasi "Herzog-iano" susseguirsi di flash delle immagini che la attraversano, collegamento peraltro sui generis con certo punk, è la (quasi) chiusura del live. Che è affidata a "Forever", brano inedito (e lo resterà a lungo).

L'Olympia che ha accolto il gruppo inglese con "Forever" lo saluta con un calore che si riserva a una cult-band destinata già ad entrare nell'immaginario di tutti: dall'Underground alla Leggenda, non è un destino consueto. Non so se Robert Smith in quel periodo come si racconta "lasciasse a volte il palco in lacrime", ma sono certo che dalla platea dell'Olympia più di qualcuno uscì, quella sera, con una commozione autentica, che giunse a "invadere gli occhi, e dagli occhi cadere", come quando la Musica (con la M...) tocca le corde del cuore.

Una rock-band in mezzo a tante altre, ma diversa, unica e irripetibile. Let's Play Forever.

SET-LIST

the figurehead, m, the drowning man, a short term effect, cold, three imaginary boys, primary, one hundred years, a strange day, pornography, killing an arab, forever

Carico i commenti...  con calma