"Adesso sarebbe meglio prevenire che curare. "Ma si, facciamoci del male. Parliamo del sig. Smith che superati i 40 anni è ancora lì che gioca con trucchi, fard e merletti e mette in scena l'ennesimo circo dark adolescenziale dei Cure, come se fossimo ancora negli anni '80, come se nel frattempo tutto non fosse cambiato (in peggio? boh!) e il nostro tardo-Peter Pan avesse trovato la sua Isola Che Non C'è nell'onda degli innumerevoli fans che lo adorano e lo sostengono (anche finanziarmente) fin dall'alba dei tempi. Saremmo quasi da manuale psichiatrico o, comunque, da psicopatologia da studiare ed analizzare al setaggio ma siamo qui per recensire e i problemi personali di Robert li teniamo per il momento fuori anche se scindere la personalità umana da quella artistica, in questo caso, è sempre molto difficile.

Si parte con una desolata "Lost" dove il nostro incalza un canto/preghiera disperato dove dichiara disarmato "mi sono perso" per proseguire sugli stillemi classici della dark-pop song. "Labyrinth" viaggia su percorsi paralleli senza novità di spicco. Con "Before Three" si torna al mondo-Cure con una tipica Cure-song da tre accordi di supporto, dove, come al solito, si celebra la grandezza della voce inconfondibile e unica, nel suo incedere trasversale e ispirato, vero e proprio pezzo forte dell'album. Riprende "The End of the World" e, obiettivamente, sembra di sentire un po' la stessa canzone, già sentita in vari dischi, con la stessa costruzione "normale" senza un minimo di novità nel suono, nel cantato, negli effetti, insomma: siamo alle solite: i Cure sono bravi a fare i Cure, punto. Il mondo fuori cambia ma a Smith & soci non gliene importa nulla: sembrano dire "noi siamo così, prendere o lasciare". Tutti i brani scorrono in fretta, molto simili e parecchio scontati negli arrangiamenti, dove ti aspetti la rullata di introduzione ZAC, eccola pronta e puntuale. Ti aspetti il rif di chitarra con eco e distorsore e ZAC, manco a dirlo. Ma come spiegarlo all'enorme marea di fans incalliti che li adorano e non accettano critiche alcune sul loro leader "spirituale" e che sostanzialmente VOGLIONO SOLO QUESTO come durante una funzione religiosa immutabile nella sua continuità? Anche la seguente "Never" non accende nemmeno mezza lampadina di novità, siamo al riciclo completo, all'auto-citazione celebrativa creando un loop ininterrotto tra domanda (i fans vogliono lo stile Cure) e offerta (i Cure danno ai fans quello che sanno fare meglio, cioè se stessi). La logorroica "Promise" si fa canto lacerato per ben 10 minuti e 20 su una base un po' alla Doors che da tutto lo spazio che serve al leader per gigionare tutta la sua infinita (e credo a 'sto punto) autentica disperazione. Con "Going Nowere" si chiude il cerchio e un disco che, se pur piacevole, non credo che aggiunga una sola virgola a quello che i Cure rappresentavano a metà degli anni '80. E purtroppo non capiremo mai se tutto questo è frutto di vera e sentita ispirazione (e li però suggerirei al nostro di aprire di qualche grado i paraocchi e cominciare ad annusare cosa succede al mondo) o di un processo ormai ammuffito nella sua ripetitività fatta di riti, gesti, atteggiamenti, canzoni e arrangiamenti destinati ad estinguersi da soli per INCAPACITA' DI SMUOVERSI dal loro pianerottolo o per INTERESSE a NON CAMBIARE il giocattolino che tanto ha portato fortuna ai nostri (magari consigliati da qualche scaltro manager discografico che, calcolatrice alla mano, ha fatto un paio di conti tra rischei e opportunità).

Sono cinico? Sono senza cuore? Ho poca sensibilità per il dramma umano dell'incapacità di adattamento alla vita reale del sig. Smith? Forse, e spero di sbagliarmi alla grande. Al di là di tutto il disco non mi ha smosso granché, a parte l'agonia di "The Promise" e l'iniziale "Lost" sempre cantata da pelle d'oca. Confido in un minimo di cambiamento nel prossimo lavoro ma credo che oramai siamo nel bel mezzo del picco discendente di un gruppo a suo tempo grandioso che non ha saputo o voluto rinnovarsi e che, come tutto a questo mondo, sarà destinato a dissolversi nel suo lento Hara Kiri (magari, in fondo in fondo, è quello che da sempre Robert va cercando, chissà). E poi, in tutta franchezza, avete mai visto un quarantenne cambiare?

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